Friday, August 24, 2012

senzamamma

Quand'ero piccola io, la minaccia classica del genitore medio era: "Guarda che ti mando in collegio." Il pensiero di tutti andava subito al terrorizzante Giornalino di Gian Burrasca, sceneggiato anni Sessanta in cui Rita Pavone in versione cross-dressing incarnava le piu' profonde paure del bambino italiano: vita lontano da mamma e alla merce' di direttrici cattive, con disciplina ferrea, letti durissimi e cibo disgustoso. D'estate, il luogo di deportazione immaginario diventava la colonia, presumibilmente perche' i collegi erano chiusi. "Se non stai buono, ti mando in colonia!" sbraitavano le mamme in spiaggia, unte con litri di Bain de Soleil. E i bambini, tremando come foglie, obbedivano e supplicavano di essere risparmiati.

Ora, si da' il caso che a Santa Severa, paesino nei pressi di Roma dove andavo in vacanza io con la mia famiglia, c'era proprio una colonia. Una colonia vera. Era come abitare accanto a Rebibbia. Vedevi cose che gli umani non possono nemmeno immaginare. Alle nove di mattina, per esempio, ti capitava di incappare in tristi gruppi di piccoli prigionieri pallidi come cenci, a capo chino e vestiti di tutto punto, che camminavano mesti verso la spiaggia in fila indiana al seguito di una suora con il cappellone bianco stile Fracchia la Belva Umana. Li vedevi, e pensavi: chissa' che avranno fatto. Saranno criminali incalliti. Alle 11, ora della merenda in spiaggia, i piccoli detenuti erano gia' spariti. Saranno rientrati, immaginavi deglutendo, nelle loro celle. A mangiare, e' ovvio, pane e acqua.

In America, invece, ho scoperto che i bambini VOGLIONO andare in colonia. Almeno cosi' dicono. Qua si chiama Sleepaway Camp, costa una fortuna, e ti strappa via i figli per settimane. Dopo averla scampata per anni, quest'estate anche la mia famiglia e' stata colpita dal morbo. Mia figlia Sara ha annunciato, in primavera, di voler andare al camp con un'amichetta. Mi ha spiegato che tutte le sue amiche ci vanno, alcune per sei, sette, perfino otto settimane. Una va in Canada, un'altra nel Maine, una terza nel Parco di Yosemite. Sara, bimba saggia, ha detto che Malibu, a pochi chilometri da Los Angeles, le sembrava un buon posto per cominciare.

Io ho esitato e borbottato per un po', ma sono stata subito messa a tacere. Gabriel, eccitatissimo, m'ha perentoriamente spiegato che la devo smettere di fare la mamma italiana. Le mamme italiane, ha detto, creano figli pappemolli. Ai suoi tempi, ha proseguito, i superpotenti bambini americani partivano per il camp a piedi, gia' pochi giorni poco la nascita, con uno zaino pieno di pietre sulle spalle. A due anni gia' piantavano la tenda da soli, nella neve, con i denti. A sei andavano a cavallo e radunavano le mandrie di bisonti nel Far West. E' cosi', temprando le giovani generazioni, che si e' creata una grande democrazia, mi hanno poi spiegato le zie, i suoceri, gli amici. E' cosi', bella mia, che si va sulla luna e si conquista il mondo. Mica tenendo i ragazzi nella bambagia, sbucciandogli la frutta per merenda, aiutandoli a farsi il bagnetto la sera, tenendogli la manina prima di dormire. Quegli smidollati mamma's boys che avete voi.

M'hanno convinto e ho accettato. Gabriel si e' occupato dell'iscrizione e della visita medica (come per il militare) e mi ha informato che la partenza sarebbe avvenuta il 6 agosto. Dopodiche', e' tornato alle sue cose. La mamma italiana pappamolle si e' quindi dovuta occupata di tutte le quisquilie, tra cui: stampare la "packing list," cioe' l'elenco delle cose da portare; ordinare su Internet gli adesivi con il nome che sono d'obbligo per qualunque camper che si rispetti; trovare sandali da doccia con il cinturino sulla caviglia perche' le normali infradito sono vietate; lavare tutti gli indumenti in tempo per la partenza. Dopo due settimane di acquisti febbrili, ricerche online e lavaggio di mutande, ho telefonato al camp per fare un paio di domande sulla logistica.

"Buongiorno, chiamo per fare qualche domanda. Mia figlia sara' al vostro camp dal 6 agosto e --"

"Dall'8 agosto."

"Come dice, scusi?"

"Dall'8 agosto, signora. La sessione comincia l'8."

"No, guardi, si sbaglia, mia figlia e' iscritta per il 6. Noi siamo pronti per il 6."

"Interessante, signora. Qua pero' cominciamo l'8."

Imbarazzo totale. Che vergogna. Tutta colpa del senzabidet, ovviamente. Tento, pateticamente, di buttarla sul ridere. "Eh eh eh. Meno male che ho telefonato, eh?"

Con voce serissima. "Gia'. Allora, voleva chiedermi, signora?"

La sera del 7 agosto, sono nel panico. Le valigie sono chiuse, il sacco a pelo arrotolato come un hot dog, i vestiti per domani pronti sulla spalliera della sedia. Sono terrorizzata. Davvero mando la mia bambina a stare con un branco di sconosciuti?? Pero', eroica, fingo di fronte a tutti. Falsissima, sorrido ostentando tranquillita', e intanto penso convulsamente, come un'invasata, a tutte le tragedie che potrebbero avvenire. "E se al camp Sara perde il suo orsetto preferito? E se la rapiscono? E se un terrorista entra nel camp e spara su tutti i bambini? E se un pedofilo la molesta? E se una bambina pazza la uccide nel sonno? Aaaah!"

Mentre tento di calmarmi e ragionare, Sara va in crisi di suo. "Ti prego, mammaaaaaa, non costringermi ad andare!!!"

Io?? Mo' so' io che ti costringo? Ma ve possino, a te e tu' padre... "Stai tranquilla, amore, vedrai che dopo i primi due o tre giorni ti abituerai e starai benissimo. Ti divertirai tantissimo, te lo dico io. Io alla tua eta' avrei tanto voluto andare al camp." E, te dico. Manco morta.

"Ma mi mancherai tanto!!! E se perdo il mio orsetto?"

So' cavoli amari. "Ma dai, e perche' devi perderlo? Non succedera'. E poi, per sicurezza, mettilo in un posto sicuro."

"Aaaaaah, allora lo vedi che significa che POTREI perderlo? Perche' dici di metterlo in un posto sicuro?? Che vuoi dire, che forse me lo rubanoooooo???"

"Ma no amore, anzi, volevo rassicurart--"

"SOB SOB SOB!! E SE MI RAPISCONO? E SE UN MANIACO ENTRA E MI AMMAZZA? E SE UNA BAMBINA PAZZA MI UCCIDE NEL SONNOOOOOO???"

Finalmente Sara si calma e si addormenta, e io mi scaravento di testa nell'armadietto del bagno alla ricerca di una vagonata di Valium.

Il giorno dopo, la casa sembra la spiaggia l'ultimo giorno d'estate. Sempre uguale, ma vuota, irreale, stranamente silenziosa. Ale, stravaccato senza energia davanti alla TV, mi apostrofa: "Mamma, facciamo una copia di Sara, cosi' ce la teniamo qui?" "Buona idea, amore. Gia' che ci siamo, facciamone una versione che ti tratta un po' meglio." E lui: "Nah. Non mi interessa. Io voglio Sara e basta." Piu' tardi, a cena, mastica meditabondo, poi dice: "Sai una cosa, mamma? Io non posso vivere senza Sara." Glop. Gulp. Io e Gabriel ci guardiamo coi lucciconi.

Dopo due giorni, arriva la prima lettera. "Cara mamma, sento moltissimo la nostalgia di casa. Ti prego, vieni a prendermi. SUBITO!!! Baci, Sara."

Ecco fatto. Corro a controllare il sito Web del camp, sul quale in teoria i genitori possono vedere foto e video dei figli in azione. Scorro da una foto all'altra, e dopo averne viste oltre 600 concludo che mia figlia e' stata rapita dagli alieni e scambiata con una coppia di gemelli identici ciccioni e dai capelli rossi che appaiono in tutte le pose possibili e immaginabili.

La prendo con serenita'. Dopo una lite furibonda con Gabriel, il quale sostiene che l'assenza di nostra figlia sia "normale," ("NORMALE??? MA SEI DALLA PARTE DEI GEMELLI CICCIONI, O DALLA MIAAAA???"), scrivo un'equilibrata lettera di lamentele al camp, in cui annuncio che sono in preda all'ansia e devo assolutamente vedere mia figlia. Poi chiamo la madre dell'amichetta di Sara, anche lei desaparecida dalle foto, e lei subito mi dice: "Ma quante foto dobbiamo vedere di quei due ciccioni rosci?? Ho scritto al camp." AHA, dico a Gabriel. LO VEDI CHE NON SONO PAZZA? Ha scritto anche lei. Lui fa un ghigno, poi si allontana guardandomi fisso e rasentando i muri come un agente dell'FBI in fuga dal serial killer.

La segretaria del camp mi scrive il giorno dopo scusandosi, e mi assicura che oggi mandera' il fotografo a cercare Sara. Infatti, la mattina seguente appaiono le foto. Sarebbe stato meglio non vederle. Sara c'e' e ha una faccia da funerale. In una sembra che pianga. GLOP. SOB. Ne parlo con mia madre, la quale dice senza esitare: "Valla subito a prendere." "Ma no, mamma, qua non si usa cosi', qua i bambini vanno temprati..." "Ma se piange?!" "Eh, lo so..." rispondo debolmente. "Dice che cosi' crescono meglio..." "Boh. Se lo dici tu."

Finalmente i dodici giorni passano. Sara torna a casa, e subito si lancia in un elenco delle sofferenze patite. "Mamma, guarda, ho pianto TUTTI I GIORNI. Sentivo tanto tanto tanto la nostalgia di casa. Non sai! Tu avevi detto che dopo due o tre giorni mi sarei sentita meglio, invece ero SEMPRE triste. Anche l'ultimo giorno, ho pianto."

"Amore di mamma! Mi dispiace, piccolina mia!! Allora, l'anno prossimo non ci vuoi andare piu'?"

Sara mi fissa sbalordita. "No, no, che hai capito. Certo che ci voglio andare."


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