Wednesday, December 11, 2013

senzafalafel



In fila in farmacia con Sara. Le cose vanno per le lunghe, e un uomo anziano dietro di me borbotta senza sosta, appoggiandosi al suo walker (una sorta di passeggino/bastone che va molto in America): "Oh Signore. Oh mamma. Uffa. Aaaah. Che lentezza. Oh Signore, oh Signore."

Dopo cinque, sei minuti di litania, la farmacista mi fa segno che e' il mio turno. Pur di far tacere l'uomo, mi volto verso di lui e gli offro di passare avanti, cosi' si toglie dai piedi. Lui mi fissa negli occhi con un cipiglio carico di sdegno, sta per dire qualcosa di sgradevole, poi abbassa lo sguardo verso la mia pancia e si illumina tutto: "CONGRATULAZIONI!" sbraita a voce altissima, attirando l'attenzione di tutti quelli in coda dietro di noi.

Io sono interdetta: "Eh?"

Lui, con un sorriso a cento denti, indicando la mia pancia e dandomi un'enorme pacca sulla spalla: "Dico, congratulazioni, signora!"

Quasi cado in avanti per la pacca e improvvisamente capisco dove sta andando a parare l'orrendo vecchio. Rispondo gelida e in tono molto basso, sperando che nessun altro senta: "No, guardi. Non sono incinta."

E lui, sempre urlando a squarciagola: "Ma si' che e' incinta! Si vede benissimo!"

Io, tra i denti, sibilando: "Le assicuro di no. Non. Sono. Incinta."

Lui, mostrando un certo smarrimento, ma senza abbassare il volume e continuando a indicare la mia pancia: "No…? Ma... e' sicura? NON E' INCINTA?"

A questo punto la mia voce e' un sussurro da serial killer: "Sono sicura. Si.cu.ri.ssi.ma." Sara mi fissa con terrore. Mi conosce e sa che sto per esplodere. Gli altri clienti in fila mi guardano con sorrisetti maliziosi. Un paio bisbigliano tra di loro sghignazzando e dandosi di gomito. Anche la farmacista, che fino a un minuto fa faceva scorrere la coda velocemente, si e' fermata e, appoggiata al bancone, segue lo scambio ridacchiando. Io sono paonazza per la rabbia e la vergogna.

L'anziano, completamente inconsapevole, insiste: "Mah, se lo dice lei. Immagino che lo sappia se e' incinta o no…"

Immagino che lo sappia?!? Ma io questo lo ammazzo.

E lui, incurante del pericolo, aggiunge: "Ma allora, scusi, what's wrong with your belly? Cosa c'e' che non va con la sua pancia?"

Sento Sara irrigidirsi. Mi stritola la mano, come per dire, "Mamma, ti prego, stai calma." Ma io ormai sono completamente paralizzata dall'incredulita'. Non sento nemmeno piu' la rabbia. Sprofondata nel surreale, rispondo calma ma con un sorriso da film dell'orrore, immaginando di avere i denti aguzzi come la guerriera di Catching Fire: "Avro' mangiato troppo, che ne dice lei?"

Lui, contentissimo, sbotta in una risata di pancia e urla, nel caso ci fosse qualcuno nel negozio che non ha sentito la conversazione finora: "HA HA HA!!!!! HA MANGIATO TROPPO, EH? Too much falafel!!!!!"

Falafel? Ma che dice?

A questo punto, la farmacista finalmente si impietosisce e mi chiama: "Signora? E' il suo turno, venga." Sara mi scruta ansiosa. Mentre ci avviciniamo al banco le sussurro, ormai priva di filtri e/o correttezza politica: "Amore, adesso sai che facciamo? Andiamo da quel vecchiaccio e gli sfiliamo il walker, cosi' cade di faccia e si fa tanto, tanto male."

"Mamma!!! Ma che dici, sei impazzita? Ti prego, non farlo!!"

"Va bene, amore. Ma soltanto perche' me lo chiedi tu." E manco scherzo.




Friday, August 30, 2013

senzacolombo


Al terzo giorno in quinta elementare, Sara sale in macchina e annuncia: "Mamma, oggi abbiamo studiato Cristoforo Colombo."

Ah, che bellezza, penso io. Il grande italiano che ha scoperto l'America. Almeno glielo dicono, che tutto e' cominciato grazie a noi. Sono soddisfazioni.

"Ah, si', amore? E che cosa hai imparato? Che ha scoperto l'Amer--"

"Si', va be', scoperto. Ma lo sai che era un delinquente?"

"...un deli...?"

"Eh, si', mamma, un delinquente. Lui e i suoi uomini portarono molte malattie sconosciute agli indigeni, che infatti morirono a centinaia."

"Va be', mica sara' stata colpa lor--"

"Ma per piacere. E poi, lo sai che obbligavano gli indigeni a pescare le perle, anche se era pericolosissimo, e gli indigeni morivano, e a loro non importava niente? E poi facevano cose bruttissime alle donne."

"..." Sono ammutolita.

"Mamma, la maestra ha detto che Cristoforo Colombo un tempo era considerato un eroe. Ma adesso si e' scoperto che era cattivissimo e per questo motivo il giorno di Columbus Day non e' nemmeno piu' vacanza. Perche' uno cosi' non merita di essere festeggiato."

Non so piu' che dire. Sono sicura che la settimana prossima le insegneranno che il telefono l'ha inventato Alexander Graham Bell. E Antonio Meucci? Niente, un capomafia del Bronx.

Wednesday, August 28, 2013

senzagusto


Un'amica mi invita a cena e mi chiede di scegliere un ristorante italiano. Io propongo di provarne uno aperto da poco, la cui esistenza mi e' nota unicamente perche' si trova a pochi metri dalla mia palestra (generalmente punto zenith della mia vita sociale). Sembra carino, le dico, e poi sulla vetrina hanno incollato un articolo del Los Angeles Times secondo il quale lo chef, tale Vic Casanova, sarebbe in grado di produrre cibo "italiano fino al midollo." Il locale si chiama Gusto, come quel ristorante fighetto al centro di Roma con i camerieri cafonissimi, dettaglio che mi fa sentire un po' a casa. L'amica accetta e ci accordiamo per vederci li'.

Il posto e' piccolo e accogliente, dall'aria minacciosamente costosa. Io e l'amica ci guardiamo e, con un certo timore, ci accomodiamo al tavolo indicatoci da un maitre super-solerte. Abbiamo a malapena poggiato il sedere sulla sedia, che lui, con un entusiasmo vagamente inquietante, fa: "Allora, ladies, siete mai state qui? Conoscete il ristorante?"

Noi, a mezza voce: "Ehm, no, e' la prima vo..."

Lui, con sorriso maniacale: "Ottimo!!" Perche' ottimo? E se avessimo detto si'? Si stressava e ci cacciava via? E perche' e' cosi' eccitato? "Allora, vi spiego come funziona." Come funziona? Come funziona che cosa? Non si ordina, poi si mangia, poi si paga? "Questo e' un ristorante creato da uno chef. Voglio dire, non c'e' un proprietario e poi uno chef ai suoi ordini. Qua Vic e' il capo e lo chef." Buon per lui. Uno stipendio in meno da pagare. E quindi, che vuoi da noi? "Ora, Vic vuole che abbiate un'esperienza gastronomica come se foste nell'Old Country, cioe', sapete, la madrepatria, l'Italia. Vuole che mangiate proprio come fanno li'." Ecco fatto. Quando la buttano sull'autenticita', finisce sempre a spaghetti e polpette. La mia amica, che e' americana, mi guarda di sottecchi e sorride sorniona. Spera che io dica qualcosa, ma io, come un vero giocatore di poker, non cambio espressione. Non mi tradisco. So benissimo di non apparire affatto italiana e di avere solo un vago accento straniero, per cui se non mi auto-identifico posso operare in incognito. E a questo punto voglio proprio vedere questo dove arriva, perche' nel pomeriggio mi sono anche informata e ho scoperto che Mister Casanova e' nato nel Bronx, ha fatto il cuoco a New York, e fino a un anno fa gestiva un ristorante "californiano-italiano" al Four Seasons di Beverly Hills, chiamato (giuro) Culina (lo so, lo so, e' latino, pero' andiamo!).

Il maitre continua il suo discorsetto, porgendoci due menu': "Nell'Old Country il pasto e' composto di varie portate. Quindi l'ideale sarebbe di ordinare una portata da ciascun settore del menu'. Vic consiglia caldamente di fare cosi'." L'uomo si allontana e noi, inebetite, abbassiamo gli occhi sulla carta. "Per prendere un piatto da ogni settore -- dice la mia amica -- dovremmo accendere un mutuo. E poi cos'e' 'sta storia delle portate? Davvero in Italia fate sempre cosi'?" Sto per rispondere che in effetti e' vero, tendiamo sul serio ad avere primo, secondo, contorno, frutta e dolce, quando noto che il menu' e' si', diviso in settori, pero' qualcosa non quadra: ci sono i Piccoli Piatti, poi ci sono Primi e infine ci sono i Piatti. I Piatti?! E i secondi? Li hanno lasciati nell'Old Country?

Quando poi scopro gli errori di ortografia, non mi tengo piu'. "Ma insomma!" esclamo. "Ma un vocabolario di italiano lo venderanno pure, a Los Angeles?!" Si', perche' tra gli antipasti figurano i "ficchi" (figs), mentre uno degli speciali del giorno pare sia condito con "beciamella." Tra i primi troviamo poi gli "Spaghetti Genovese" e i "Ricotta Gnocchi." Italiano fino al midollo, eh? Almeno evitare tutta questa solfa dell'Old Country, dico io, che uno poi ti perdona gli errori. Senno' sai il mal di fegato ogni volta che vai a mangiare fuori, con i vari dining alfresco (cenare all'aperto), piatti di arugula (rucola) e tazzine di caffe' expresso. La mia amica, eccitatissima, risponde subito: "Devi dirglielo, devi dirglielo! Non puoi fargliela passare liscia! Se la tirano troppo! Ti prego! Se non parli tu, parlo io." Io di solito sono troppo timida, ma adesso, con l'amica sul piede di guerra, non posso tirarmi indietro.

Cosi', quando il maitre torna, ordiniamo (tra gli antipasti c'e' la pizza margherita e io, senza vergogna, la chiedo), poi dico: "Scusi se mi permetto, eh, ma ci sarebbero un paio di errori sulla carta." Gelo. Occhio vitreo. Ghigno. "Ah, si'? E quali?" "Soprattutto 'ficchi,' sa, lo cambierei. Ci va una 'ci' sola."

L'uomo mi fissa, mormora rigido, senza sorriso, "Certo, certo, lo dico subito a Vic," e si allontana svelto. E' chiaro che mi ha preso per una pazza mitomane e che a Vic non dira' un bel niente. La mia amica e' indignata. Vuole intervenire. "Non ci ha creduto! Ti ha snobbato! Ora vado a dirgli che sei di Roma!"

Un po' vorrei che lo facesse, ma la vergogna e' troppa e -- a fatica -- la tengo a bada. Pero' poi, come i cornuti, ci ripenso e quindi ecco, oggi, la mia vigliacca vendettina a freddo.


Saturday, August 24, 2013

senzacultura


Seduta nel salottino degli psicologi in training, leggo tranquilla. A un tratto, si siede accanto a me una collega, avvicina la testa alla mia e mi apostrofa a mezza voce e con fare cospiratorio: "Scusa, posso chiederti una cosa?"

Alzo gli occhi, un po' sorpresa per il tono misterioso. "Certo, dimmi."

"Mi sto chiedendo... in Italia, culturalmente dico, e' normale per un uomo seguire e perseguitare la sua donna? Minacciarla di morte, piazzarsi sotto casa sua, eccetera? Sai, una mia paziente e' fidanzata con un italiano, e sto pensando che forse lei non si rende conto che e' soprattutto una questione culturale..."

Alzo la mano per bloccarla. Ecco fatto, penso. Ci siamo. Nell'America politicamente iper-corretta in cui bazzico io, quando un non-WASP (bianco anglosassone protestante) fa qualcosa di assurdo, subito si cerca la giustificazione "culturale." In questo caso, presumo, la questione di cultura si potrebbe riassumere con italiano = yeti. A dimostrazione che a volte la correttezza politica chiude il cerchio e diventa insulto allo stato puro.

Guardo la collega e decido di optare per la vendetta malvagia.

"Eh si', hai proprio colto nel segno. E' esattamente cosi'," rispondo senza battere ciglio. "Da noi, per legge, i mariti devono picchiare le mogli. C'e' scritto nella Costituzione."

Lei sgrana gli occhi. "Pensa te. Allora avevo ragione," aggiunge con una luce di trionfo negli occhi, "e' proprio una cosa culturale..."

"Eh, si', non e' colpa sua, povero ragazzo. In Italia l'uomo, per essere considerato virile, dev'essere violento e infedele. Da noi e' in vigore la poligamia, sai?"

La collega sorride ancora, ma la vedo vacillare. "...Si', eh...?"

Riabbasso gli occhi, e guardando il mio libro, continuo: "Io sono fuggita da Roma vent'anni fa, perche' mio padre mi aveva venduto per dieci cammelli al vicino di casa. Aveva altre sei mogli, sai, ma a casa sua c'erano l'acqua corrente e l'elettricita'. Da noi ci lavavamo una volta al mese. Anche quella e' una cosa culturale. La puzza, dico."

Noto che la collega comincia a capire l'andazzo. "Ah. Stai scherzando," commenta delusa.

Rialzo la testa e la guardo in faccia. "Di' alla tua paziente di chiamare la polizia. In Italia, se uno ci minaccia di morte, tendiamo a fare cosi'. Culturalmente." E mi rimetto a leggere.

La collega si allontana mogia, mogia e pure un po' offesa. Un altro sogno infranto.


Thursday, March 28, 2013

senzaformaggio


Preparo da mangiare per i miei figli. Abbiamo fretta: dobbiamo uscire dopo cena, e io devo ancora farmi la doccia. Allora, scolo la pasta, scaldo del sugo avanzato nel frigo, e spolvero i rigatoni con una manciata di parmigiano grattugiato. Poi, avendo servito davanti alla TV Anastasio e Genoveffa, corro come Cenerentola in bagno per lavarmi.

Mi sono appena infilata sotto l'acqua calda quando sento un urlo agghiacciante provenire dal salotto.

E' Sara: "Aaaaaagh! Aaaaaagh! AAAAGH!!!"

Ale, subito dopo, fortissimo: "MAMMA, MAMMA CORRI!!! Sara e' stata avvelenata!!"

Avvelenata? Mi si ferma il cuore. Oddio, oddio, oddio, il sugo sara' stato troppo vecchio? Ma da quanti giorni era nel frigo? Settimane, mesi, anni? Povera figlia mia, povera bambina! Che ho fatto, Dio mio, che ho fatto?

Scivolando sulle piastrelle, inciampando nell'asciugamano, sbattendo contro lo stipite, mi precipito in salone nuda, senza fiato e sgocciolante. Trovo Sara con le mani sul collo, rossa in faccia, che tossisce. Ale la guarda serio, serio, ma tranquillo.

"Che succede, che succede?," urlo.

Sara, dimenandosi, con gli occhi di fuori: "Agh... Coff... Coff... Agh... Oooh... Ugh..."

Ale, masticando un rigatone: "Te l'ho detto, mamma. L'hai avvelenata."

"Ma tu allora, fermo! Perche' mang--"

Sara interrompe, con voce strozzata: "Ma... che... formaggio... ci... hai... messo... nella... pasta? Coff... Coff... Coff"

Io, cominciando a capire: "Formaggio? Che formaggio?? Parmigiano Reggiano, puro, importato dall'Italia. Appena comprato. Perche'??"

Sara, evidentemente miracolata da guarigione istantanea, risponde con voce normalissima: "Era il tipo pre-grattugiato, vero? Non l'hai grattugiato tu, eh? DIMMI LA VERITA'."

Ecco fatto. M'ha beccato. Michele l'Intenditore, noto in America con lo pseudonimo ingannevole di Sara, infatti, sa distinguere il parmigiano grattato di fresco da quello grattugiato in precedenza. Ti dice se hai osato mettere una spezia diversa dal basilico, unico sapore autorizzato, in qualunque pietanza. Quando nei ristoranti pseudo italiani di Los Angeles i camerieri sventuratamente le offrono il Parmesan, finto parmigiano di produzione locale, Sara li allontana con un gesto sdegnato della mano da far invidia a Kate Middleton. In confronto a mia figlia, Gaia De Laurentiis e' una dilettante, una poveraccia. E io, pur sapendo tutto questo, nella fretta stasera ho incautamente tentato il colpaccio, osando guarnire la sua cena con il parmigiano da vasetto di plastica. Il parmigiano tabu'.

In preda al terrore, non ho il coraggio di confessare. Mento spudoratamente. "No, no, davvero! L'ho grattugiato adesso! Un minuto fa!"

Sara fa un sospiro esasperato, alza gli occhi al cielo e riassaggia la pasta. Non ci casca. Mi guarda disgustata: "Allora il formaggio era andato a male, perche' fa schifo. Io, questa pasta non la voglio." E scosta il piatto con una smorfia.

E io in quest'attimo capisco, come in una rivelazione, perche' su Instagram mia figlia si fa chiamare "Italian Princess." Proprio una principessa italiana, sei, bambina mia. Principessa on the pea.




Sunday, March 17, 2013

senzavocabolario


Il meraviglioso caso dell'app Inkulator (dalla fusione tra "Ink" e "Calculator," come si legge nel comunicato stampa diffuso ieri dai produttori, nel quale si annuncia anche, purtroppo, il cambio di nome) mi ha indotto a pensare alle tante parole equivoche che mi deliziano nella vita americana.

Saro' io che penso male, per dire, ma trovo favolosa la legge tributaria dal nome FICA (Federal Insurance Contributions Act), soprattutto quando faccio una veloce ricerca su Google e trovo le seguenti frasi: "What is FICA?"(eeeh, sapessi, bello mio, poi te lo spiego) "What is the meaning of FICA?" (aridaje, t'ho detto che poi te lo spiego), "Increase (aumento) in FICA" (qua uno strano silenzio, nessuno protesta) e infine, il sado-maso "FICA's bite." Ahia.

Un po' meno estrema, ma altrettanto divertente, la scritta cubitale al neon in cima a un grattacielo su Santa Monica Boulevard: "TOPA." Non so a che azienda si riferisca, ma spero nessun italiano spione li avvisi, come invece pare abbiano fatto in molti con la Surface Soft, produttrice di Inkulator, la quale ha spiegato di essersi accorta dell'errore grazie a molti "utenti italiani." Mannaggia a loro, delatori.

Nessun italiano di confine, dove evidentemente siamo piu' perfidi, ha invece avvisato i produttori svizzeri dell'orologio di costosissima marca Movado (si', si', movengo pure io), che schiera anche una serie di modelli dai nomi stupendi quali: "Vizio" (con pelo di lupo), "Bela" (ma come li porti i capelli?), "Serio" e "Faceto" (da comprarsi in coppia e indossare a seconda dell'umore) e infine il modello per poveri "Circa", che certi giorni funziona e certi giorni no.

Il desiderio di Italia si annida ovunque, e quindi non puoi nemmeno farti un caffe' in pace da Starbucks, dato che mentre aspetti venti minuti che una specie di druido ti prepari un semplice cappuccino, ti accorgi che la macchinetta per espresso da casa si chiama "Verismo." Subito ti  immagini Rosso Malpelo e Turiddu al tavolo della cucina che sorseggiano dalle tazzine mentre canticchiano "Sciuri sciuri" e chiacchierano con tuo marito.

Allora fuggi, sali in macchina e guidi soprappensiero. Ma non c'e' pace: ecco che ti si accosta una bella macchina rossa, poi accelera, ti supera, e tu guardi il nome sul paraurti posteriore e sputi il cappuccino sullo sterzo: "Verano?" Ma no, dai, Verano no! Va be', lo so che "verano" in spagnolo significa "estate," pero' a me viene in mente soprattutto un amico del mare che era sempre col muso e noi, per tirargli su il morale, lo chiamavamo, appunto, Verano. "Aho, a Vera', s'annamo a fa un giro dale parti tue, ar cimitero, che la' so' tutti piu' allegri de te? HA HA HA."

(Poi mi spiegheranno quelli della Kia che cosa significa in spagnolo "Sorento," nome di una SUV ormai in circolazione, senza correzioni di ortografia, dal 2002. Forse alla Kia fanno anche la "buratta" e la "picatta," ottimi piatti tipici offerti in quasi tutti i ristoranti italiani di Los Angeles.)

Ora, non per essere maligni, ma quando una delle migliori scuole di Culver City (quartiere-municipio nella zona occidentale di Los Angeles) si chiama "El Rincon," cominci a capire tante cose.

Cosi', per consolarti, decidi di prenderti un bel te' caldo. Invece dello zucchero, prendi del sucralosio, che non fa ingrassare. Nome del prodotto: Apriva. Cosi', bevendo, canticchi senza sapere bene il perche': "Alle porte del sole ... ai confini del mare..."






Monday, January 28, 2013

senzatraduzione


Mi scrive da Roma la mia amica Stefania, italiana trapiantata a Los Angeles e ritrapiantata in Italia. Mi racconta divertita che le sue bambine frequentano la scuola italiana, e adorano la loro maestra, che e' dolce e spiritosa ma, dicono, a volte un po' strana. Un giorno, tornando a casa, le due piccole hanno infatti spiegato alla mamma che la maestra aveva minacciato la classe, e gli studenti invece di piangere si erano messi a ridere a crepapelle. "Ma che ha detto, scusa, la maestra?" ha chiesto allarmata la mia amica. E le due piccole, ridacchiando felici: "Mamma, ha detto che se non la smettevamo di parlare, ci avrebbe appiccicato al muro!!!"

Mi fa notare Stefania, nel suo messaggio: "Ti immagini a Los Angeles, se una maestra dicesse una cosa del genere?" Me lo immagino, si': le mamme e i papa', inferociti, chiamerebbero i servizi sociali dopo due minuti e farebbero squartare l'insegnante sulla pubblica piazza. Perche' il genitore illuminato americano medio, per sgridare i figli, usa espressioni da libro stampato del tipo: "That's not OK," (quello che stai facendo non e' OK) oppure, "Remember to use your indoor voice." (Ricordati di usare la tua voce da interni), o infine l'insuperabile frase rivolta al bambino in piena crisi che urla, morde e batte i piedi per terra: "I see you are very angry right now." (Vedo che sei molto arrabbiato adesso. MA VA'???)

Leggo la mail di Stefania sul telefonino, al lavoro, cioe' al centro di terapia presso il quale sto facendo il tirocinio per diventare psicologa. Una collega simpatica nota che sto ridacchiando, e mi fa: "Perche' ridi?"

"Ha ha, sto leggendo un messaggio da Roma, una mia amica nota quant'e' diverso il modo di parlare ai bambini li' rispetto a qui... Sai, noi italiani non usiamo tutte quelle espressioni disinfettate che usate voi... Siamo un po' piu' coloriti..."

La collega mi guarda divertita. Vuole saperne di piu'. "Ad esempio?"

"Be' ad esempio, la mia amica dice che la maestra ha minacciato le sue figlie di hang them up on the wall. HA HA HA!!!"

La collega non ride. Anzi, sgrana gli occhi. "Davvero? Ha detto proprio cosi'?"

Io, ormai lanciata, non riesco a fermarmi. "Si', ma i bambini mica hanno paura."

Lei, debolmente: "No...? Appenderli al muro, pero', mi pare un po' forte."

"Ma no. In italiano ha un suono diverso. Io per esempio, ai miei figli spesso dico cose del tipo, if you don't stop screaming, I will pull your head off ("Se non la fai finita, te stacco la capoccia"), oppure I will beat you to death if you don't shut up ("Se non te stai zitto, t'ammazzo di botte"), ma loro ridono. Sanno che cosa intendo."

"Ridon--?"

"Ma si', si', ti dico, ridono."

"Ma poi gli meni...???"

"Ma NO! Quando mai. Sono loro che picchiano me. HA HA HA."

Ancora nessuna risata. La collega e' in piena paresi bilaterale. Non mi segue. Anzi, mi fissa con un ghigno agghiacciante. Io, spinta da non so quale istinto sadico-masochista, insisto: "Guarda, una mia amica milanese, per esempio, quando i figli la toccano troppo, dice: "I will break your little arms" (Ti spezzo le braccine)... Ma anche li', sai, si fa per dire. In realta' li adora."

La collega e' chiaramente orripilata. La vedo che si guarda intorno, indecisa tra il fuggire urlando o il chiamare la polizia per denunciarmi. Mi rendo conto che non e' il caso di spiegarle oltre -- mi sta prendendo sul serio. Del resto, non e' l'unica. Le parole, mi diceva sempre una terapeuta britannica che vedevo anni fa a Roma, contano. Vanno usate con giudizio. Ma no, le spiegavo io, per noi italiani l'iperbole e' un modo di parlare, fa parte della vita. Ma lei niente, non mollava, e mi costringeva a evitare espressioni melodrammatiche tipo "mio marito e' pazzo," "mi voglio ammazzare," "mi fa schifo," e cosi' via. Per me, una tortura: ogni volta che uscivo dalla seduta, pensavo: "Co' questa non se po' parla'." Vorrei dire alla collega che i miei figli non li ho mai toccati nemmeno con un dito, che anzi, Ale mi piglia a calci regolarmente e se per caso do una pacchetta sul sedere a Sara, lei immediatamente si butta a terra a faccia avanti, contorcendosi, stile calciatore italiano in area di rigore.

Ma capisco che la situazione e' disperata. Decido quindi di lasciar stare e abbandono la collega psicologa al suo orrore per dirigermi verso casa. In macchina, sorridendo, penso alla traduzione letterale di tutte le espressioni usate da genitori, nonni ed educatori italiani che avrei potuto riferirle, e a poco a poco mi vengono i singulti. Tipo quella volta che ho sentito la baby-sitter dei miei figli, di anni 70, urlare al telefono al nipote, di anni 25: "Emilia', se non la fai finita, vengo la' e te rompo! (If you don't cut it out, I will come there and break you.)"

O quando al parco ho sentito una madre urlare: "Se non scendi subito da quella giostra te do' una sberla in faccia che te faccio gira' la testa come l'esorcista! (If you don't get off that merry-go-round, I will slap your face so hard that I will make your head turn all the way around, as in the movie 'The Exorcist.')"

O l'omone che diceva al figlio sghignazzante: "Guarda che te do un cazzotto sul petto che te ce faccio a nicchietta paa Madonna!! (I will punch you in the chest and make a niche for a Virgin Mary statue in it)."

Arrivo a casa e subito Sara mi fa arrabbiare, rifiutandosi di venire a cena. Dopo vari tentativi stile americano/Dr. Jekyll ("Tesoro, vieni che ti ho fatto la tua pasta preferita," "Devi pensare anche agli altri, stiamo tutti aspettando te," "Ci farebbe piacere avere la tua compagnia a tavola"), scivolo nella mia personalita' romana/Mr. Hyde, e sbraito tipo lupo mannaro: "SE NON VIENI SUBITO, TI PRENDO A SCHIAFFONI A DUE A DUE FINCHE' NON DIVENTANO DISPARI."

E lei, senza fare una piega, dalla sua stanza, con voce annoiata: "Provaci, mamma, provaci. E io ti denuncio per abuso sui minori."

Friday, January 18, 2013

senzamaglietta


Quando vai a Londra, ti fai la classica foto con una Guardia della Regina, uno di quei poveracci con il cappellone di pelo che non possono fare niente nemmeno se gli fai la linguaccia o gli dici le parolacce.  Quando vieni a Los Angeles, invece, vai al centro commerciale The Grove e ti fai la foto con uno di quei modelli seminudi all'entrata di Abercrombie & Fitch.

Io ci ho messo un anno intero a trovare il coraggio di entrare nel negozio, per la paura tremenda di arrossire -- alla mia eta'! una madre di famiglia! -- incrociando lo sguardo malizioso del bonazzo senza maglietta e con mutanda prospiciente a bordo jeans. Le ragazze giapponesi, invece, chiaramente non hanno di queste remore, perche' ormai da mesi ne vedo a frotte che corrono a farsi fotografare abbracciate col tipo. Qualcuna, secondo me, allunga anche le mani.

Cosi', si e' arrivati al punto che il negozio si e' attrezzato con macchina fotografica, e una simil-valletta in minigonna fotografa le turiste col Bronzo di Riace del giorno, tra risolini isterici, strizzatine e sorrisi imbarazzati.

In questi ultimi tempi, per me, il patatrac. Sara ha scoperto Abercrombie, e io e lei siamo diventate assidue del negozio al Grove. Risultato: gli spogliarellisti non mi fanno piu' paura, anzi. Ormai, quando andiamo al negozio, e ci andiamo spesso perche' le sto insegnando i valori della vita, io sorrido ai belloni senza vergogna, li saluto, ci parlo, tra un po' li tocco pure. Sara e' un po' scandalizzata. Ritiene che la mera presenza di quei tipi sia una vergogna. E sua madre una mezza debosciata.

Oggi, poi, il colmo. All'uscita, il modello sulla porta, contraendo la tartaruga addominale e sorridendo ammiccante, ci apostrofa con voce suadente alla James Earl Jones: "Ladies, volete farvi una foto con... me?"

Io, esitando: "Be'..."

Sara, velocissima: "NO!"

Ma il tipo, con sguardo alla Sean Connery in Goldfinger, insiste e sorride a cento denti: "Su, venite... e' gratis, eh."

Gratis? Annamo, aho!! Gia' immaginando il successo che avro' quando pubblichero' la foto su Facebook con la dicitura, "Io che tocco il sedere al bono di Abercrombie," dico sottovoce a Sara: "Ti i prego, TI PREGO, ce la facciamo?"

Sara, irritatissima, tirandomi per la manica: "No, mamma!! Ho detto di no. Sei pazza?? Andiamo a casa. Subito."

Dopo qualche minuto, con tono disgustato: "Ma l'hai visto bene, poi, mamma? Non aveva nemmeno un pelo sul petto."

Io: "Ho visto, ho visto."

Sara: "Bleah!!!"

Io: "Dici, eh?"

Sara: "Si', mamma, FACEVA SCHIFO."

Chissa' come sara' stato liscio, pero'. Non ditelo a Sara.