Sunday, July 15, 2012

senzaricetta

"Gabriel, mi fai un piacere?"
"Dimmi."
"Ho finito la medicina per l'allergia, puoi chiamare il medico e chiedergli di farmi la ricetta?"
"..."
"Allora?"
(con voce gelida e grondante disapprovazione)"Non posso farlo. Devi chiamare tu."
"E perche', scusa?"
"La medicina e' per te."
"Embe'?"
"Mica posso farmi fare una ricetta a nome tuo."
"No? Non te la fa, il medico? OK, allora falla fare a nome tuo."
"MA SEI IMPAZZITA? Significherebbe mentire."
Euh. Come si scalda. E che sara' mai. "Esagerato!"
"Per niente. Guarda che e' UN REATO!"
(Gulp) "Ma amore, tu usi la stessa medicina..."
"Si', ma adesso non mi serve. Serve a te. E' una questione di onesta'."
Ed e' cosi' che capisci che: 1) tu sei fondamentalmente disonesta fino al midollo perche' farsi fare una ricetta per qualcun altro non ti sembra nemmeno una questione di cui discutere; 2) tuo marito rimane un mistero incomprensibile; e 3) il tuo medico della mutua di Roma dovrebbe passare il resto della vita a San Quintino.

Sunday, July 1, 2012

senzamario


E' il giorno della finale. Il bidet, in vacanza dai suoceri a New York, con prole, cugini, zii e zie, decide (alla faccia di tutti parenti) di andare a vedere la partita in un bar di Soho. Gli ingredienti ci sono tutti: articolo di due pagine su Balotelli sul New York Times da leggersi durante la colazione; spuntino di mezzogiorno; poi appuntamento alle 2 a Spring Street con un'amica italiana, residente a New York e dotata di fidanzato israeliano filo-Azzurri; e naturalmente, Gabriel come accompagnatore.

L'unico ostacolo e' che i bambini sono stati invitati dalla zia a vedere il Re Leone a teatro. Ci sono quattro biglietti in totale: un genitore appare condannato ad accompagnare.

Io declino subito l'invito con eleganza: "Per me potete pure mori'. Io vado a vedere la partita."

"Va bene," fa Gabriel con l'aria da martire. "Li porto io."

Io, indicando mio suocero: "Be' scusa, amore, ma non possiamo costringere tuo padre?"

Gabriel si illumina. Ci voltiamo entrambi e fissiamo il pover'uomo.  Preso alla sprovvista, mio suocero tenta una timida fuga in cucina, poi china il capo, rassegnato. "Ma, se volete... potrei..." balbetta.

"Ottimo. Allora e' deciso. Vai tu." E' fatta!

Ma Sara non e' d'accordo. Vuole assolutamente un genitore come chaperone. Si lancia sul letto in urla selvagge, minaccia il suicidio, il patricidio e il matricidio, infine il fratricidio. Poi scuote la testa come un serpente a sonagli, ulula e infine si alza in lievitazione con un ruggito tipo bambina dell'Esorcista. Noi non cediamo e mentre Sara viene trascinata a Broadway come Robespierre alla Bastiglia, io e Gabriel ci avviamo felici verso l'affollato bar di Soho. Cinque dollari per entrare, schiere di italiani,  magliette azzurre e bandiere tricolori. Siamo tra i primi. Ci piazziamo al bancone a mezzo metro dal video. Birra, patatine, rutto libero. Eccitazione nell'aria.

Una bella ragazza italiana alla mia sinistra, accompagnata da un americano corpulento, finge di capire qualcosa di calcio e spara una scemenza dopo l'altra. Lui, che capisce meno di lei, annuisce, convinto che lei sappia di cosa parla.

Due romani coatti, in piedi dietro alla mia amica, si raccontano le ultime notizie. "E Luca, s'e' laureato poi?"
"S'e' laureato, si'. Ma sta arovinato, eh. Almeno s'e' laureato..."
Primo gol della Spagna. Gelo. Gli ispano-simpatizzanti nel pub esultano.
I due romani alzano la voce.
"E daje, Mario! A Mario!! Faje vede'!"
Balotelli se ne sbatte e continua a mancare la porta.

La ragazza italiana si sporge verso di me e fa: "Ma tu ci credi ancora, che vinciamo?"Aho, portassi sfiga, eh? Le faccio un sorriso diplomatico e sorseggio la mia birra, sperando capisca che non e' il momento.

Ma il tempo passa e l'Italia non da' segni di vita. Do di gomito a Gabe e sto per dirgli che il primo tempo e' quasi finito, se qua non ci diamo una mossa a segn--
Agh. SECONDO GOL della Spagna. Non ci posso credere. La scema alla mia sinistra si china di nuovo verso di me e mi chiede con atteggiamento confidenziale:"Che ne pensi, eh? Ci credi ancora? O e' la fine?" Ma che ne so io? Che so', la figlia di Biscardi, aho? Ma chi te conosce, poi? Faccio un altro sorriso di circostanza a denti stretti e vado in bagno.

Secondo tempo. Terzo gol della Spagna. La ragazza, non ancora paga, fa all'americano, "Tri gols! Uan okay, bat tri!" Lui, piu' rimbambito di Di Natale sotto porta, fa si' col capo ma evidentemente non sta capendo una mazza. Meglio.

La scema si mette a chiacchierare con uno dei due bori di Roma. Si scambiano nomi e strette di mano, poi subito parlano di immigrazione.
"Io ho la green card, tu?"
Lui: "Si', anch'io. Ti sei sposata per averla, eh?"
Lei: "Eh be,' si', eh. Tu no?"
Lui: "Si', si', anch'io..."
Lei: "Con chi?"
Ma che te frega?
Lui: "Una del mio ufficio... Ma stavamo insieme sul serio, sa'?"
Come no.
Lei: (pausa densa di significato) "Ah."

Io, Gabriel e gli amici beviamo birra, sidro, Coca-Cola. Siamo distrutti. Balotelli trascina i piedi, Buffon sembra addormentato. Una spagnola alle nostre spalle esulta a ogni passaggio della sua squadra con irritanti urletti: "Huuuu! Huuuu! Huuuu!" Vorrei dirle, come Sordi a Delle Piane: "A Cicalo', e statte zitta, e statte zitta." Sto gufo.

Quarto gol, e' umiliazione totale. Agonia degli ultimi minuti ad aspettare i tre fischi della fine, per poter uscire dall'incubo, fuori, in strada. I due romani dietro di me continuano a sbraitare e chiacchierare, come se non si fosse consumata nessuna tragedia. Si inserisce tra di loro una ragazza asiatica e strilla, tutta pimpante: "Ciaooooo, come va? Ma che lingua state parlando, scusaaaaa?"

Io e la mia amica ci guardiamo con un lampo omicida negli occhi.

Finalmente, i fischi. La partita e' finita. Balotelli piange e corre negli spogliatoi. Pirlo lacrima. Non ci sono tracce di mamme italiane orgogliose sugli spalti. Io faccio un sospiro, mi stiracchio e, inebetita dalla birra e dalla delusione, mi alzo.

"Allora - fa la mia amica con fermezza - questa e' la prima e l'ultima volta che io e te guardiamo una partita della Nazionale insieme. E' chiaro - conclude - che ci portiamo sfiga a vicenda."

In effetti. Il ragionamento non fa una piega.