Friday, September 21, 2012

senzaparacadute

Da quando ha compiuto i 40 anni, Gabriel e' entrato in una spirale di follia giovanilistica. Ha cominciato a proporre giri della California in bicicletta, soggiorni in tenda nei boschi di Yosemite, diete durissime a base di bibitoni proteici e latte di soia. Si alza prima dell'alba e corre per dieci chilometri. Pianifica passeggiate lunghissime nei parchi della citta', da farsi con zaino sulle spalle e bevande vitaminiche in mano. Compra vagonate di mirtilli perche' pare che mantengano il cervello funzionante. Io, pero', non gli do alcuna soddisfazione. Ho infatti deciso di invecchiare con eleganza perche' l'altra opzione e' troppo faticosa, quindi generalmente lo osservo con occhi semichiusi da sotto le coperte mentre lui fa stretching ansimando sulla moquette.

Dai e dai, tra un sonnellino e l'altro, mi sono resa conto che al pover'uomo rispondevo sempre di no. Cosi', quando quest'estate, al mare a Santa Monica, Gabriel mi ha mostrato estasiato un paracadute giallo che volteggiava sopra di noi, mormorando: "Me la regali una gita cosi' per il mio compleanno?," ho pensato che fosse arrivato il momento di accontentarlo.

Una veloce ricerca su Internet, una telefonata, il numero della carta di credito e voila', il regalo e' fatto. Prenotata una gita in barca al tramonto con "parasailing," partenza a Marina del Rey alle cinque e trenta di sabato pomeriggio. E quando la centralinista mi chiede: "Salite in due sul paracadute, o sale soltanto suo marito?," mi sento punta sul vivo. Siamo donne o caporali, diamine? Possibile che debba sempre fare la figura della fifona? Possibile che debba sempre ricordare al mondo che Gabriel e' piu' giovane e atletico di me? E se poi si cerca una ragazzina magra e coraggiosa, disposta ad avventure sportive di ogni tipo? Ah, no, eh. Stavolta gliela faccio vedere io. "No, siamo in due," annuncio con decisione nella cornetta. "Ottimo, signora. Ci vediamo sul molo, puntuali." Mentre chiudo il telefono, ho un attimo di dubbio. Sara' il caso? Non saro' stata troppo frettolosa? Non e' che poi muoriamo tutti e due, lasciando due poveri orfanelli? Quando comincio a respirare in iperventilazione, decido di calmarmi e mi dico che mancano due settimane e quindi, inutile agitarsi adesso. Posso sempre disdire.

Poi pero' non disdico affatto, anche perche' Gabriel si mostra entusiasta del regalo e ancora di piu' del fatto che ho deciso di unirmi a lui, invece di restare a terra come pensava. A questo punto, non ho il cuore di deluderlo. E' cosi' contento e orgoglioso di me... E poi, la verita' e' che tirarmi indietro adesso sarebbe un'umiliazione senza confini. Impensabile. Quindi tento di autoconvicermi che andra' tutto per il meglio. Penso: e va be', in fondo, che sara' mai? Il volo dura soltanto dieci minuti, saremo sospesi sul mare quindi non possiamo sfracellarci, e saremo ben ancorati, con tanto di salvagente. A questo punto visualizzo un'esperienza tipo scalata turistica dell'Empire State Building, con panorama spettacolare e vento freddo sulla faccia. Se po' fa.

Arriva il fatidico sabato e io e Gabriel partiamo per il mare -- in gran segreto, perche' se lo diciamo a Sara, che in quanto a serenita' ha preso tutto da me, quella chiama direttamente le pompe funebri. Arriviamo e tutto appare perfetto: il mare e' calmo e blu cobalto; il cielo e' terso; tira una leggera brezza; e il tramonto si avvicina languido. Sono un po' spaventata ma orgogliosa di aver superato le mie paure. Sara' un'esperienza bellissima, mi ripeto ossessivamente. E poi, se non altro Gabriel notera' il mio estremo coraggio di donna degli anni Duemila, e cosi' saro' al riparo dall'insidia di amanti ventenni, energiche, avventurose. E lui forse la piantera' di descrivermi come una pusillanime che scappa anche di fronte alla propria ombra, ecco!

Saliamo sul motoscafo assieme a diverse coppie, tutte alla ricerca -- come noi -- di un momento romantico ed eccitante, da ricordare per tutta la vita e raccontare ai nipotini. Si arrampicano inoltre sulla barca: un terzetto di ragazzi indiani (due uomini e una donna dalle gambe pelosissime); due ciccione con un amico, pure lui ciccione; e infine una ragazza slanciata la quale, inspiegabilmente per me che lo faccio esclusivamente per farmi lodare da Gabriel, e' venuta da sola. Il capitano ci assicura che sara' tutto facilissimo e divertentissimo, poi spara musica house a palla, e partiamo veloci verso l'orizzonte, guardando il sole in bilico sulle onde.

Gli indiani vengono selezionati per salire sul paracadute per primi, tutti e tre insieme. La donna, piazzata al centro, indossa una chiara smorfia di terrore, ma finge di sorridere. I tre ragazzi vengono imbracati, chiusi nel salvagente, e fatti sedere spalle al mare con un enorme paracadute giallo appeso dietro. Poi il motoscafo improvvisamente prende velocita' e, con uno scatto, il terzetto sale rapidamente verso il cielo, urlando e ridendo. Be', rifletto, e' come il luna park. Se ho sopportato Disneyland, posso sopportare anche questo.

Quando tocca a noi, infilo le gambe nell'imbracatura di tela e leggo l'avvertenza: "Attenzione. L'equipaggiamento che state per indossare e' pericoloso. Il suo uso puo' provocare la perdita della vita e degli arti." Gulp. Se non mi ammazzano, mi trasformano in un tronco umano? Mi volto verso Gabriel, il quale mi sorride tutto innamorato, e dice guardandomi romanticamente negli occhi: "Hi, baby. Ready to fly with me?" Che devo di'? Gli sorrido a cinquanta denti, gli prendo la mano, e dico: "Of course." I due marinai ci posizionano sul bordo del motoscafo e, dopo un attimo di immobilita' quasi irreale, di colpo ci sentiamo trascinare indietro e in alto con una specie di whoosh nelle orecchie. Poi saliamo velocemente, cosi' velocemente che nel giro di dieci secondi non sentiamo piu' l'orrenda musica del capitano deejay ed entriamo nel silenzio del cielo e delle nuvole, tra le quali ci dondoliamo piano piano. Gabriel e' incantato. "Che silenzio. Che vista bellissima. Com'e' rilassante stare quassu'. Eh, tesoro?"

Non rispondo, perche' sto tremando come una foglia. Mi sono resa conto che piu' che seduta, sono appesa nel vuoto, in equilibrio precario. Mi vedo mentre lascio andare l'imbracatura per salutare e, non avendo forza nelle gambe, cado all'indietro e a testa in giu', come quei pupazzetti di legno con il pulsante sotto ai piedi che si comprano in montagna. Cosi', per evitare di cappottarmi, stringo i nastri di tela con tutta la forza che ho nelle mani, al punto che le braccia mi fanno malissimo e comincio a sudare copiosamente sotto al salvagente. Ho le gambe rigide, tese in avanti come le Barbie degli anni Sessanta. Guardo in basso e a momenti svengo. Siamo ad almeno cinquecento metri! Terrore!!!

"Amore, dammi la mano," fa Gabriel, tutto soave. Mi sfiora un dito e io giro la testa di scatto a sinistra, come un serpente a sonagli. "Non mi toccare," intimo con voce da baritono. Gabriel mi guarda allarmato. "Che c'e'? Hai paura?" "Paura? Macche' paura. Sono terrorizzata." Risatina. Infame. "Ma dai, lasciati andare, dammi la mano." "Ma per piacere. Sta' zitto, piuttosto." "Guarda, guarda, vedo casa di A!!" fa lui, tutto contento, indicando l'abitazione di una nostra amica sulla destra. Non mi giro nemmeno. Ho paura che se muovo il collo perdero' l'equilibrio e mi ritrovero' appesa tipo Cirque du Soleil. Sono praticamente di marmo. "Sta' zitto, t'ho detto. Non mi parlare. Non mi toccare. Non fare niente. Dimmi solo quanto manca alla fine di quest'incubo. Quando scendiamo? Quanti minuti sono passati? Oddio, oddio oddio, hai visto il mare quant'e' lontano? Oddio oddio oddio... MA CHE FAI?! SEI IMPAZZITOOO? SMETTILA SUBITO DI FARMI PIEDINO! NON MI TOCCAREEEE!!"

Gabriel ride e mi lascia stare. Rimaniamo in silenzio per un paio di minuti, finche' il vento si fa piu' forte, sempre piu' forte. Un po' troppo forte. Iniziamo a ondeggiare. Gabriel e' contento: "Hoo hoo! Divertente." "Divertente un par di pa-" comincio io, ma mi blocco perche' mi assale un'ondata di nausea. Il venticello continua a darci colpetti di qua e di la', e a ogni whoosh la nausea mi sale di una tacca, finche' comincia a girarmi la testa e ho l'improvvisa visione di me stessa che svomitazzo a 500 metri d'altezza  direttamente sulle capocce dei poveri turisti -- e di quegli smargiassi del capitano e del secondo che, con le loro abbronzature e i loro cappelletti da baseball messi all'incontrario, tutto sommato se lo meriterebbero pure. Che vergogna, pero'. Sono mortificata. Tento per un po' di mantenere una parvenza di dignita', ma quando il paracadute scende svelto svelto e il marinaio ci fa le foto di rito (le abbiamo comprate in anticipo, prezzo 25 dollari), strabuzzo gli occhi, gonfio le guance e non riesco nemmeno a sorridere. Gabriel agita la manina, saluta l'obiettivo, mi fa, "Dai, amore, saluta anche tu." Non dico niente, non lo guardo proprio, ma quello che sto pensando e': "Devi mori'."

Finalmente ci tirano giu'. Atterriamo, plop, di sedere e io subito cado in avanti come un corpo morto. "Tutto bene?!" fa il capitano, sorreggendomi per le ascelle, poi aggiunge: "Sai, avete beccato il giro piu' agitato di tutti, mi spiace, c'era un sacco di vento..." Non gli rispondo nemmeno, primo perche' lo odio, e secondo perche' se apro la bocca adesso, su quella barca si ricorderanno di me per molti e molti anni.

Il resto della gita, con tutte le altre coppie che salgono in cielo tra gridolini, sorrisi e pacche sulle spalle, passa confusamente, come un brutto sogno. A ogni sosta al largo, la nausea mi riassale e io mi giro verso l'esterno, scossa da conati pazzeschi. Per tutto il tempo evito strenuamente lo sguardo degli altri, ma so che mi fissano tutti, sgomenti, temendo un'esplosione di slime da un momento all'altro. Quando si e' ormai fatto buio, finalmente ritorniamo sulla terraferma. Ma per me non e' finita. Saliamo in macchina, andiamo a casa, e fino a mezzanotte io continuo a gemere e vomitare.

Quando finalmente mi trascino carponi sotto le coperte tossendo debolmente, Gabriel si spaparanza accanto a me con l'aria trionfante del sultano. Mentre io abbracciavo il cesso, infatti, lui ha concluso la serata sbafandosi un piatto di riso indiano davanti alla TV, tifando per la sua squadra di college football che sconfiggeva, in casa, i nemici storici. Si sente padrone del mondo. In piu', crede di essere spiritosissimo. Mi fa, allungandosi verso di me per abbracciarmi: "Allora, amore, ha ha ha, per il prossimo compleanno ci buttiamo da un aereo."

Estraggo la testa dal piumino come una tartaruga. Allungo il collo, lo fisso con occhio vitreo, poi rientro nel guscio bofonchiando: "Fatti un'amante, e fattela giovane. A quello servono, le amanti. A me, da adesso in poi, mi lasci stare."

Poi mi divincolo dalle sue braccia, mi giro, faccio un altro paio di conati, e mi addormento di colpo.

1 comment:

  1. Sei stata bravissima!!!!!!! Non l'avrei MAI fatto. E poi sul mare.... Se non fossi morta in aria sarei stata di sicuro divorata dai mostri marini. Sei un'eroina.

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