Tuesday, January 31, 2012

senzapalla


Motivi per i quali a mia figlia Sara piace il softball:
1) La divisa di quest'anno e' di un bell'azzurro ("royal blue'" per la precisione), quindi cool;
2) Si passano almeno due pomeriggi alla settimana con l'amichetta L., la quale possiede orecchini a forma di elefante, di cui uno rappresenta la testa e l'altro il sedere, molto cool;
3) L'anno scorso la nostra squadra ha vinto il torneo, quindi si comincia la stagione da campioni, perciò che ve lo dico a fa', molto moooolto cool;
4) Giovedi' si vanno a comprare gli scarpini nuovi con mamma, e fare shopping con mamma e' sempre coollissimo (in effetti e' fico).
...come dite? E poi...? E poi che...? Ah, lo sport, il gioco, il gesto atletico... Certo, certo. Come no.


Friday, January 27, 2012

senzafata


Oltre a "Bella Ciao", a mio figlio piace anche "Le avventure di Pinocchio", che gli e' stato regalato (in inglese) dalla nonna. Ogni sera ne leggiamo un paio di capitoli e io ho scoperto che 1) non e' una favoletta, ma una storia dell'orrore, con bambini impiccati e bambine fantasma tipo Shining; e 2) e' la fonte originaria del programma repubblicano 2012.

Cito testualmente dal capitolo in cui Pinocchio arriva all'Isola delle Api Industriose (Busy Bees in inglese): "A chiedere l’elemosina [Pinocchio] si vergognava: perché il suo babbo gli aveva predicato sempre che l’elemosina hanno il diritto di chiederla solamente i vecchi e gl’infermi. I veri poveri, in questo mondo, meritevoli di assistenza e di compassione, non sono altro che quelli che, per ragione d’età o di malattia, si trovano condannati a non potersi piú guadagnare il pane col lavoro delle proprie mani. Tutti gli altri hanno l’obbligo di lavorare: e se non lavorano e patiscono la fame, tanto peggio per loro".

Ora, per Pinocchio il ragionamento non faceva una piega: li' al paese delle Api Industriose, in venti minuti gli arrivano venti offerte di lavoro (e lui le rifiuta tutte, come un vero ragazzo italiano). Ma immaginiamo per un attimo che Pinocchio sia un ragazzo nero di South LA e il Gatto e la Volpe due candidati repubblicani alle presidenziali.

Pinowkiow: "Ho fame".

Gatt: (shakerando un cocktail): "Vai a lavorare".

P: "Si va be'. T'ho detto che ho fame adesso, oggi. Sono tre mesi che cerco lavoro. Ho finito i soldi. E voi mi avete pure tolto il sussidio".

Volp (versando il cocktail in un bicchierone fresco di freezer): "E' perche' non vogliamo farti l'elemosina. Sarebbe offensivo nei tuoi confronti. No, noi vogliamo che tu ti dia da fare e impari l'etica del lavoro".

P: "Ma che c&*% dite? Vi ho detto che non ho da mangiare. E la mia ragazza e' incinta".

Gatt (chinandosi per cercare un'olivetta sotto al bancone): "Non preoccuparti. Abbiamo tagliato le tasse ai ricchi, così adesso hanno più soldi, li investono e creano tanti nuovi posti di lavoro. Vedrai che ce ne sara' uno anche per te. Ah, a proposito: di' alla tua ragazza di non abortire. Noi siamo per la vita".

P: "Va bene, glielo dico, ma poi quando nasce il bambino, come facciamo"?

Gatt (ancora chino perche' quest'olivetta proprio non si trova): "Cavoli vostri. Te l'abbiamo detto: rimboccati le maniche. E poi potevi praticare l'astinenza. Come dici? Noi? Haha. No, certo che noi non la pratichiamo (risata soffocata). Ma sai com'e': noi siamo noi e tu non sei un c%$^". (Pausa. Inserimento di oliva nel cocktail. Slurp. Volp, sorseggiando il suo drink, si accorge che il ragazzo non si e' mosso e lo fissa a bocca aperta). "Ancora qui, stai?? Almeno vai a scuola, intanto che io ti creo il posto di lavoro, così impari una professione, no? Ma proprio niente, vuoi fare? Tutti pigri questi ragazzi delle periferie, eh?"

P: "E chi me la paga la scuola? Mia madre che si fa di crack dalla mattina alla sera? Mio padre che non so nemmeno chi sia? Ma se t'ho detto che non ho nemmeno i soldi per mangiare?! Allora vado a vendere la droga!!"

Volp: "Come dicevo, ti manca l'etica del lavoro, ragazzo mio. Cerchi scorciatoie, troppo facile..." (poi improvvisamente, rivolto a Gatt) "A proposito di droghe, ti ricordi che cannoni all'università, quella costosa università Ivy League che i nostri genitori ci hanno pagato con migliaia e migliaia di dollaroni? Che risate!! E poi le feste... le ragazze... che incubo, eh? Ha ha ha... le notti a studiare... anzi, a ubriacarci e a farci le canne!!! ha ha ha!!!"

P: "Universita'?! Ma che state dicendo, deficienti? Alla mia high school c'e' il metal detector all'entrata, il mio migliore amico e' stato ammazzato dalle gang, mia sorella s'e' beccata una pallottola vagante..."

Gatt e Volp (ormai al secondo cocktail, ubriachi, hanno completamente perso interesse e si allontanano ridendo e chiacchierando tra loro, mentre Pinowkiow si impicca da solo all'albero): "Certo, le cheerleader erano proprio delle gran f&*^, eh?? Che tempi... A proposito di f@#$, bisogna che ci ricordiamo di telefonare a quel tappetto italiano, quello se ne intende, no...? Va be', dai, finisci 'sto drink che c'e' il dibattito. Andiamo sulla CNN a far finta di litigare".

Thursday, January 26, 2012

senzamicrofono

Il mio sogno segreto di sempre e' che un giorno diventerò una giornalista famosa e uno di quei programmi tipo "Ballando con le stelle" o "Festival di Sanremo" mi inviterà e mi chiederà di eseguire, per favore, una canzone a mia scelta, insieme ad altre celebrità intellettuali ma anche pop, tipo Daria Bignardi. Allora io, facendo finta di fare un favore agli organizzatori, agguanterò il microfono come faccio quando mio marito incautamente mi porta al karaoke, e cantero' a squarciagola "I Will Survive" (come bis poi farei "It's Raining Men") e tutti, inclusi i miei genitori e quella bravona di mia sorella che ha fatto il conservatorio, e perfino mia nonna dal Paradiso, dovranno ammettere che non e' vero che sono stonata, come hanno sempre ingiustamente sostenuto, ma canto favolosamente bene. E tutti gli italiani lungo lo Stivale diranno che ho una voce stupenda, e poi anche che sono bellissima, e non si capisce perché ho fatto la giornalista invece della cantante o l'attrice se e' per questo, e poi noteranno en passant che ho anche una pronuncia americana strepitosa.

In attesa di quel giorno, mi esercito con mio figlio Ale, che ogni sera mi supplica (sentito, Aragozzini, o chi per lui oggigiorno?) di cantargli qualcosa. Nel corso degli anni, ho messo a punto una vera e propria scaletta, che ha avuto una sua evoluzione e di cui un giorno mio figlio parlerà con il suo psichiatra.

Di solito apro con l'evergreen "Bella Ciao," e fino all'anno scorso eseguivo subito dopo "Russians" e "Leningrad", creando un vero e proprio trittico politico, passando dalla Seconda Guerra Mondiale alla Guerra Fredda fino alla caduta del Muro. Roba da brividi. Poi Ale e' cresciuto e ha cominciato a fare domande, interrompendo la performance, chiedendo ad esempio: perche' il parmigiano e' finito sottoterra sulla cima di una montagna? Forse e' andato a male perché il papa' ha dimenticato di rimetterlo in frigo come Daddy che non ti ascolta mai? E perché il bambino russo beveva tanta vodka e non conosceva il suo papa'? Ho deciso di non traumatizzare mio figlio oltre e ho tentato quindi un'operazione berlusconiana anni Ottanta di depoliticizzazione, che nell'insieme e' andata bene anche se Ale ha assolutamente voluto mantenere "Bella Ciao" in apertura.

Quindi in questo tour 2011-2012, dopo il brano d'apertura eseguo: "Legata a un granello di sabbia", "Parla più piano" (versione Johnny Dorelli), "Una rotonda sul mare" (fondamentale fare "tam ta-tam tam tam" tra un verso e l'altro a senno' le pause sono lunghissime e il bambino si stressa) e "Il cielo in una stanza". Recentemente ha avuto un grosso revival "On My Own" (versione Nikka Costa), ma dopo una settimana in testa alla hit parade il mio pubblico s'e' improvvisamente stufato e ha annunciato: "I hate this song" (e' un pubblico internazionale). Per un periodo ho introdotto "Gloria" di Umberto Tozzi ma poi ho capito che cosa faceva la mano che lavora piano e ho deciso che i cinque anni di Ale sono troppo pochi per quel tipo di domande. Ora sto tentando, e sono cautamente ottimista, l'esperimento di introdurre qualcosa di Liga ("Non e' tempo per noi") e forse presto perfino i Litfiba (pensavo a "Regina di cuori"). Di solito i brani più difficili li tengo per la parte finale del concerto, quando Ale ormai ronfa e io continuo nel buio facendo finta di essere al Delle Vittorie di sabato sera (in genere alzo anche un po' la voce sperando sempre che Sara e Gabriel mi sentano e poi dicano, "Certo quanto canta bene mamma, eh?", ma finora hanno sempre mantenuto il più totale riserbo).

Che poi, a pensarci bene, forse "I Will Survive" e' troppo trita, troppo sentita... la fanno tutti... Magari qualcosa dei Culture Club. Domani provo "Karma Chameleon" sul mio focus group. Focus kid.

Monday, January 23, 2012

senzabicchiere


Non finirà mai di stupirmi il livello di eccitazione degli americani quando semplicemente sentono la parola "alcol". Dopo tre anni qui, una cosa l'ho capita: se sei andato a una festa e non ti sei ubriacato, non puoi esserti divertito. Anzi, la verita' e' che se come minimo non ti sei svegliato in mutande sul prato dei vicini senza alcun ricordo della sera precedente sei uno sfigato senza speranza. Tanto valeva che restassi a casa col pigiamone flanellato di Fantozzi. Fateci caso. Quando un americano vi invita a una festa, generalmente si premura di specificare: "Non ti preoccupare, ci sarà un sacco di alcol". Come dire: mica penserai che ci possiamo divertire così, facendo due chiacchiere e magari un giro di Trivial? Come dici? Una spaghettata? Una pizza?? UN FILM??? Ma quanti anni hai, tremila?

La situazione mi e' apparsa particolarmente preoccupante l'altro giorno a un seminario sull'abuso di droghe. La lezione era, appunto, sull'alcolismo. Gia' all'annuncio del tema, tra i partecipanti (tutti adulti e laureati, sia chiaro) hanno cominciato a serpeggiare risatine e bisbigli eccitati. L'insegnante, sentendosi evidentemente molto hollywoodiano, ha deciso di aprire la lezione con uno spettacolino. Da una busta della spesa, ha estratto con grande svolazzo di braccia un calice da vino e l'ha messo sulla cattedra. "Che cos'e' questo?" ha chiesto con il tono che usano le maestre di prima con i bambini un po' lenti. "A wine glass!" hanno esclamato i laureati, soffocando sghignazzi. Poi ha estratto un calice da champagne. "E queeeesssssto?" "A champagne glass!!" Altri singhiozzetti soffocati. "Ah-ha! Vedo che conoscete l'alcol..." "Hi hi hi hi hi!" "E QUESTO (estraendo una mini-bottiglia di vino), lo sapete CHE COS'EEEEE''?" Alla vista del vino, il gruppo non s'e' più tenuto, ed e' esploso in una risata isterica, tipo i miei figli davanti a un film di Stanlio e Ollio. Mi aspettavo che qualcuno cadesse dalla sedia da un momento all'altro. (Io sono rimasta di ghiaccio, l'unica. Pensavo a quanto m'e' costato 'sto seminario).

L'insegnante spiega poi che l'alcol e' un "social lubricant," un lubrificante sociale. Aiuta i timidi, spiega, ad affrontare il mondo. "Per esempio -- fa -- chi di noi non si ricorda di quando, al liceo, prima di una grande festa si ubriacava a casa così poi aveva meno paura?" Chi non si ricorda?! IO!! Io non mi ricordo! Non mi ricordo proprio!! Prima di una grande festa al liceo (sempre che i miei mi ci mandassero), io al massimo mi facevo un bicchiere di Coca in cucina co' nonna! Anzi, nemmeno quella, dato che a casa mia la Coca-Cola non si comprava, primo, perche' so' soldi buttati e quindi ti bevi l'acqua del sindaco che non costa una lira; e secondo, perché lo sanno tutti che se metti un dente dentro un bicchiere di Coca-Cola dopo una settimana lo trovi disintegrato!
Mi guardo intorno alla ricerca di possibili alleati, ma sono tutti con l'occhio fisso e stranamente adorante sull'insegnante (o forse guardano il vino). Annuiscono. Il fatto del liceo, mi sa, se lo ricordano tutti.

Torno a casa annichilita, sentendomi una fallita perche' la verita' e' che io sono astemia. Quindi, mi par di capire, destinata a una vita da tristacciona. Al massimo posso giocare al Trivial con Gabriel sorseggiando una peccaminosa Diet Coke, penso. Almeno ho lui, penso poi, non mi serve l'alcol, ecco. Faccio un mezzo sorriso al pensiero che in fondo le tristaccione sono loro, quelle che siccome non hanno un marito come il mio bevono per dimenticare. Entro in casa riconsolata, corro in cucina per raccontare tutto a Gabriel. Lo trovo seduto al laptop con un bicchiere di vino davanti. Tu quoque, gli dico. E non gli rivolgo più la parola fino a domani.

Sunday, January 22, 2012

senzamobili


Non e' vero che l'inferno sono gli altri. L'inferno e' un pomeriggio all'Ikea con marito, figli e suocera. Capisci di aver fatto la scelta sbagliata quando, pochi minuti dopo l'arrivo nel megaparcheggio di Glendale, tuo figlio che si era addormentato in macchina si butta per terra privo di ossa, tua figlia emette un suono simile al miagolio di un gatto in fin di vita e tuo marito e sua madre si scambiano uno sguardo terrorizzato perché sanno che una delle tre bombe a orologeria italiane che hanno di fronte (te e i tuoi figli) e' destinata a esplodere in tempi brevissimi.

Eppure, a mezzogiorno quella di andare all'Ikea m'era sembrata un'idea favolosa, perfetta per occupare il deserto dei Tartari della domenica pomeriggio, lungo più di qualunque cosa Paolo Conte abbia mai visto in vita sua. In genere, esauriti da un giorno e mezzo di weekend, io e Gabriel a questo punto non sappiamo più' che cosa proporre a quei due piccoli ospiti di villaggio vacanze permanente che abbiamo generato, e così restiamo a casa raccontandoci che e' il momento buono per mettersi al pari con l'e-mail e magari fare un salto al supermercato, tanto i bambini hanno le camerette piene di Squinkies, Nintendo DS, Barbie e Lego... E poi c'e' il nuovo X-Box, no? Qualcosa troveranno da fare per occupare un misero pomeriggio, no? Solo che ovviamente verso le tre i figli, dopo aver giocato per un massimo di trenta secondi con tutto quello che possiedono, cominciano la classica alternanza tra le sedute di lotta libera con morsi reciproci e le litanie gregoriane in camera tua. "Mi annoiooooo.... non so che fareeeeee... mamma, ti pregooooo..." salmodiano a turno, drappeggiandosi sulla moquette, sul tuo letto e sullo schermo del tuo computer mentre tu tenti disperatamente di finire quell'unica e-mail che sei riuscito ad aprire. Quindi ho pensato dai, devo comprare quelle famose mensole e quei famosi materassi, stavolta facciamo qualcosa di utile, andiamo all'Ikea, sono tanto organizzati, sono tanto carini, tanto design, tanto svedesi, in caso si può sempre prendere ai bambini un lingonberry juice (ve lo sputeranno in faccia) o un piatto di polpettine (HAHAHA!).

Una volta al mercatone, la situazione degenera rapidamente, anche perche' se l'Ikea di Roma nel fine settimana e' affollata, qui e' affollata di ciccioni. Il consumatore medio americano porta la taglia 72, e oggi lui e la sua famiglia hanno dato appuntamento a tutti i loro amici di Overeaters Anonymous proprio qui, a Glendale, nella zona bedroom dove io devo assolutamente trovare i miei maledetti materassi. Si aggirano tutti con l'occhio vitreo di chi e' in perenne iperglicemia, spingendo carrelli giganteschi pieni di oggetti inutili, prendendo a sederate a ogni curva i miei figli e mia suocera, che sembrano tre esili canne di bambù catturate in mezzo a una mandria di elefanti in marcia. Mio marito assume immediatamente la classica espressione schifata da Oscar Wilde che gli viene quando e' circondato dalla plebaglia oversize dei suoi connazionali. Io assumo subito lo stato isterico che mi viene quando sono in un luogo affollato con i miei figli.

Tutto e' pronto per l'Armageddon. Gia' in zona materassi Gabriel, dopo aver constatato per qualche minuto che non riesco a decidere tra la versione in lattice e quella a molle, perde la testa e propone incautamente, "Vogliamo fare a testa o croce"? Lo guardo gelida e rispondo parlando molto lentamente, con voce finto-calma ma in crescendo: "Testa o croce? Ma che, hai fretta? Hai un appuntamento? Dobbiamo andare da qualche parte? Nonpossiamoprendereunadecisioneseriaaaaaa?". Vedo un lampo di terrore nei suoi occhi. Mi accarezza la testa come si fa con i cani quando ringhiano al bambino dei vicini e io, facendo respiri funnuti come Montalbano quando si incazza con Livia, mi calmo leggermente, faccio provare ai miei figli sei-sette letti diversi, e finalmente seleziono un sultan comecavolosiscrive.

Passiamo alle mensole. Mentre io misuro febbrilmente file di Lack e Hemnes, con la coda dell'occhio becco mio marito che guarda speranzoso, quasi languido, verso l'uscita. Un fremito di rabbia incontrollabile mi invade. MA COME SI PERMETTE??? SONO MESI CHE DOBBIAMO PRENDERE QUESTO C&^%$ DI MENSOLE E LUI SI DISTRAE? Mi accorgo che anche mia suocera, sbatacchiata da orde di panzoni da una divano a un altro, e' ormai in uno stato dissociativo e ha assunto lo sguardo a spirale di Paperino quando viene ipnotizzato. MA IO SONO L'UNICA CHE ANCORA PRENDE LE MISURE QUI??? L'esplosione si fa praticamente inevitabile quando mio marito annuncia, serafico: "Porto Ale a fare la pipi'" e, in meno di un nanosecondo, sparisce. Non ci posso credere. Prima fissa nel vuoto e mo' se ne va pure? Quando torna lo uccido. Quando torna, gli dico... gli dico... ehi, ma non sono quelle le mensole che cercavo? Con gli occhi ormai secchi e brucianti, barcollo verso uno dei finti tinelli color nocciola e prendo l'ennesima misura! Evvai!! Sono quelle giuste!!! Estasi, felicita', esultanza. Mi passa di colpo la rabbia. Mi sembra di aver trovato il tesoro di Priamo. Sono orgogliosa di me, di non aver mollato, di aver mantenuto la calma... Non vedo l'ora di dirlo a Gabriel e, giustappunto, squilla il cellulare. Prima che io riesca a dire una parola, lui fa: "Ma dove sei? Ti stiamo aspettando al Marketplace. Vieni o no?" Zac. Mi sbucano i denti lunghi da lupo mannaro. "Dove sono? Dove sonooooo? Lo sai dove sono? Dove dovresti essere te! STO FACENDO QUELLO CHE SIAMO VENUTI A FARE! HO TROVATO LE MENSOLE GIUSTE! TU PIUTTOSTO, E' CHIARO CHE MI VUOI SABOTARE, CHE NON VEDI L'ORA DI ANDARTENE, E POI CHISSA' QUANDO TORNEREMO E... E.... E..."

Soffoco un singhiozzo, ingoio, e aspetto. Sono sicura di aver innescato Pearl Harbor e mi preparo al contrattacco atomico. Invece Gabriel, che normalmente avrebbe abboccato all'amo e sganciato la bomba, evidentemente s'e' fatto furbo. Stavolta assume la sua identità di arcangelo e, con voce soave, dice: "Ottimo, brava. Stai tranquilla, adesso sistemo tutto io." Poi torna da me, sospinge con decisione i miei figli e mia suocera, ormai inebetita, verso le casse, li lascia li' a tenere il posto, torna indietro un'altra volta, mi da' qualche altra carezza canina, mi aiuta a prendere tutto quello che manca, trasporta mensole e materassi svettando in mezzo ai lardosi con i suoi bicipiti da strafigo che si gonfiano sotto la maglietta e, come per incanto, carta di credito, bacetto, gelatino svedese e voila', siamo fuori. Come Dio e l'arcangelo Gabriele hanno voluto, ce l'abbiamo fatta. Ma sia chiaro. Il mio nome e' mai più.

Saturday, January 21, 2012

senzapaura

Da quando ho cominciato il blog, mio marito e' molto orgoglioso di me. Sono anni, da quando ho lasciato la Kronos nel 2006, che non scrivo una riga, e finalmente mi sono rimessa alla tastiera. Sembra un papa' fiero. Mi fa un sacco di complimenti e io, sempre insicura, me li bevo come una diet coke fresca fresca. Ma siccome e' anche il mio ex capo in redazione, subito parte in quarta con i consigli. "Dovresti mettere una foto del tuo bidet portatile." Ma io non voglio mica fare un intero blog sul lavaggio delle parti intime, e' solo una metafo-- "Vero, ma guarda che la gente se vede qualcosa di spinto, e' attirata." Si' in effetti, non ha torto. Pero' boh, non sarà troppo bidet, troppo sederi e mutande? "No anzi, dovresti fare i rating come sulla guida michelin, pero' con i bidet al posto delle stelline." L'idea e' carina ma, insisto, io il concetto del bidet in se' lo vorrei superare, e' solo un punto di partenza, e... "Metti qualche foto, così il blog e' troppo spoglio." Ma, non so, si' e' vero, e' spoglio, ma alle foto non ho ancora pensato... Lui e' pieno di entusiasmo e io sono contentissima, lo so che e' per amore, pero' più mi parla, più io mi sento paralizzata. Per qualche ora, entro in crisi. Non ci capisco più niente. Devo attirare il pubblico? Devo usare i bidetini come le forchettine dei ristoranti? Ma che cosa devo classificare, i ristoranti o i bagni pubblici?
All'apice della confusione e dell'insicurezza, carico sul blog un disegnino dozzinale di un bidet con una manina che sbuca fuori e fa avanti e indietro. Non mi piace per niente, sembra una vignetta di Nonna Abelarda, ma penso che forse così attirerò lettori. L'ha detto Gabriel, che non sbaglia mai. O no? Sempre più incerta, cerco di aggiornare il mio profilo ma mi blocco davanti alla tastiera. Non so che scrivere. Devo fare una cosa spiritosa. Non mi viene niente. Agh!! Non so più chi sono. A questo punto, inviperita non so nemmeno con chi, decido che basta, il blog m'ha già stressato, non lo faccio più.
Improvvisamente, mentre mi lagno col mio povero marito che non capisce perché ieri sera ero così entusiasta e oggi sono pronta a mollare tutto, capisco che sono come Arthur, il bambino-formichiere della serie di libri che i miei figli adorano. In "Arthur Writes a Story," Arthur deve fare un tema per la scuola. Siccome e' secchioncello proprio come Laura, ha subito una bella idea, corre a casa e di getto scrive la storia di quando ha ricevuto in regalo il suo cagnolino. La storia e' semplice, vera e chiara. Soprattutto, e' sua. Ma poi, nei giorni che seguono, Arthur comincia a chiedere consigli alla sorella, agli amici, ai genitori. Uno gli dice di fare un musical, un altro di metterci qualcosa di scientifico, un altro ancora che se non fa ridere e' inutile proprio che scriva. Arthur cambia la storia ogni sera, finche' al venerdì, giorno in cui deve leggerla in classe, si esibisce in un terribile papocchio con danze, rime e battute sciocche che lasciano maestro e compagni annichiliti dall'orrore. Arthur si rende conto che avrebbe dovuto semplicemente fare di testa sua, lo dice al maestro e agli amici, legge la storia originaria e vince il primo premio.
Quindi basta e' deciso. Stavolta faccio di testa mia.

Friday, January 20, 2012

senzacervello

Sei anni fa la mia terapeuta inglese a Roma, una specie di Margaret Thatcher in versione soft, mi ha prestato un libro. Le avevo detto che forse volevo fare la psicologa anch'io e lei, che al massimo dell'emozione alzava un sopracciglio e piegava all'insu' il labbro superiore, ha espresso così il suo entusiasmo nei confronti dell'idea. Il libro in questione era di un luminare della Bay Area in California, professore, autore di libri di testo, romanzi e saggi sulla psicologia. Rimasi folgorata. Allora si possono strizzare i cervelli e continuare a scrivere, anzi si può scrivere di quanto e' bello strizzare i cervelli!, pensai. Da li', da quel libro, e' partita l'avventura che mi ha portato dove sono oggi: a Los Angeles, alla stretta finale di un master in psicologia, già in tirocinio, una decina di pazienti in cura e una nuova e (se spera visto il prezzo del master) brillante carriera davanti.
Stasera mi sono sentita molto ragazzo italiano che ha sposato marilina quando io e il marito americano siamo andati a cena con un suo compagno di università, figlio minore del luminare di cui sopra. Mi ha parlato del padre, e io gli ho detto di informarlo che a causa sua ho cambiato vita. Mi ha detto: riferirò. Poi, dato che sta per sposarsi, gli ho pure dato qualche consiglio di vita. Mi sono sentita come Owen Wilson quando, in Midnight in Paris, incontra Scott e Zelda. Troppo fico. So' proprio arrivata nel Kansas City.

Thursday, January 19, 2012

senzadolore

Vado a farmi il pedi-mani-sopracciglia-baffetti mensile e vedo sulla vetrina del negozietto: "Special full-body massage 45 minutes, 25 dollars". Siccome oggi mi girano a mille, dato che ho passato il pomeriggio cercando di mettere insieme costumi anni Venti per i miei figli (su quanto rompe sta scuola poi vi dico) decido che crepi l'avarizia, oggi alla rimozione calli e peli aggiungo il massaggio. "Do you want lady or gentleman?" mi chiede la manicure. Dico, tentando una battuta: "The lady, if she's strong." (perché odio i massaggi mollicci) "Gentleman more strong" mi fa, tutta seria, l'estetista. Per un momento esito, poi mi ricordo che l'ultimo gentleman che m'ha massaggiato m'ha messo le mani sul sedere e per lo stress poi m'e' venuto un mal di testa di tre giorni. Decido che il signore asiatico che ho visto nell'atrio non ha motivo di vedermi nuda e insisto per la femmina.

Mi piazzano in una stanzetta gelida (per 25 dollari mica vorrai pure la stufetta) e mi affidano a un'esile ragazza vietnamita, magra magra e pallida pallida. Per un momento prendo in considerazione l'idea di richiamare il nerboruto che ho visto di fuori, ma mi manca il coraggio. E poi sono già in mutande, tra l'altro di un imbarazzante color carne. Va be', let's roll. Lady, che non capisce nemmeno una sillaba di inglese (mejo) mi schiaffa un asciugamano addosso, mi fa infilare la testa nel buco del lettino, si arrampica sopra di me e si butta a corpo morto sulla mia schiena, premendo con i gomiti tipo martello pneumatico. Non si ferma nemmeno quando dico ahi. Anzi, se gemo ridacchia, mi agguanta una gamba, mi piega il ginocchio e si avventa a braccio teso sulla natica. Altro che spa. Altro che deep tissue massage da 100 dollari. Questa con 25 verdoni mi smonta e (spero) mi rimonta.

Dopo pochi secondi capisco i sadomasochisti perché il misto di piacere e dolore e' una pura iniezione di endorfine. Comincio ad avere come le visioni e mi appare un flash del filmato su un esorcismo che ho visto ieri sera all'università. Sono io, sono io l'indemoniata della cassetta. Dai, ragazza vietnamita, caccia da me il maligno! Caccia l'odio feroce verso tutte la attività scolastiche che coinvolgono i genitori invece di tenere occupati i ragazzini! Caccia da me l'irritazione contro il marito che sta sempre in riunione e non sente mai quel c*&% di telefonino!! Caccia la rabbia contro le baby-sitter che il sabato hanno sempre da fare!!! Via, via, sentimenti cattivi contro tutti quelli che non posso nominare qui perché poi se leggono sono cavoli miei!!!! Vade retro, Satana della ribellione che mi impedisce di essere una mammina buona, calma e soddisfatta!!!!!

Lo spirito maligno viene così rimosso dal mio corpo a forza di botte. Immagino la soave vietnamita che mi preme una gigantesca croce di legno sulla zona cervicale mentre urla preghiere in latino, con i nodi sul trapezio che tentano di resistere alle forze del bene ma poi si devono sciogliere sotto la pressione della croce, e a un tratto sento tutti i piccoli demoni stipati dentro di me che escono urlando dalla mia nuca con una risata terrificante, "Hahahahahaha!!!" Finito il massaggio, come la ragazza indemoniata del film, alzo la testa esausta, spettinata, con un filo di saliva verde che cola sul lettino e mormoro: Thank you.

Wednesday, January 18, 2012

senzasalute

Vado dal dentista. Chiacchierando con la segretaria Jackie, una cordiale signora di mezza eta' decisamente sovrappeso, finiamo a parlare di Obamacare. Io, pensando di trovarmi di fronte a una donna normale, dico: "Che poi per me e' anche strano pensare che ci sia gente senza copertura sanitaria in questo paese, gente che se si ammala non può andare dal dottore..."E lei, con un sorriso da bambola da film dell'orrore: "Eh, lo so che da voi c'e' il sistema socialista. Ma qua in America il socialismo non ci piace". Resto pietrificata. Eh? Da noi, dove? Su quale pianeta? Mentre cerco una risposta che abbia un senso lei continua, con lo sguardo spiritato di Jack Nicholson in The Shining. "Del resto, se uno e' pigro e non vuole studiare, poi non trova un buon lavoro. Quindi peggio per lui se poi non può pagarsi l'assistenza sanitaria, no"? Altro sorriso agghiacciante. Io tento di balbettare qualcosa, ma dalle mie labbra ormai immobilizzate in un ghigno esce soltanto un rantolo.

Vorrei dirle, ma lo sai Jackie che sono proprio quelli come te, di mezza eta', obesi e ipertesi, con un lavoro "low skill" da colletto bianco e un bel diabete 2 dietro l'angolo, che l'odiato socialista keniota aspira ad aiutare? Ti rendi conto che se il tuo dentista domani si compra un bel computerone per prendere gli appuntamenti, a te ti sbatte per strada? E che poi li e' capace che incontri Rick Perry e Michele Bachmann che ti prendono a calci urlandoti che loro non ti possono aiutare, che devi farcela da sola, che loro usano le maniere forti solo per il tuo bene, per insegnarti che le cose bisogna guadagnarsele e non riceverle dallo stato, e poi scusa potevi andare ad Harvard invece che a quel pezzente junior college che costava di meno, no? Ma non lo sai, Jackie, che nel mondo darwinizzato dei candidati repubblicani, tu saresti in prima fila alla Rupe Tarpea?

Poi mi torna in mente mio padre quando, anni fa, tentava di riportare alla ragione mia nonna, berlusconizzata da anni di Rete 4, sbraitando: "Parli tanto di Berlusconi, di Mussolini... Ma a te, i fascisti, che t'hanno dato? Berlusconi, che t'ha dato? Te sei sempre stata 'na poveraccia senza 'na lira, gli unici che t'hanno aiutato so' stati i comunisti che t'hanno fatto ave' la pensione". Mia nonna, che per qualche secondo aveva dato l'impressione di uscire dal suo torpore per seguire il discorso, alla parola "comunisti" ha rivoltato indietro gli occhi, ha girato la testa a 180 gradi e ha cominciato a parlare in una lingua sconosciuta. Fine della conversazione. Berlusconi contro papa', sei reti a zero.

Cara Jackie, sei come mi' nonna. Hai così paura dell'inesistente mostro sovietico di Nairobi che sei disposta a sputare in faccia a chi, nonostante tutto, vuole salvarti da te stessa.

Tuesday, January 17, 2012

senzalingua

Ogni sabato, sottopongo i miei figli alla tortura delle lezioni di italiano (dato che in tre anni in America si sono trasformati, linguisticamente, in piccoli Tony Soprano). All'inizio protestavano, urlavano, piangevano, supplicavano tutte le settimane di essere risparmiati. Adesso, dopo tre mesi di mia inconsueta inflessibilità, si sono rassegnati e vanno a lezione come Maria Antonietta va al patibolo. Sembrano due piccoli Hugo alla stazione di Montparnasse. Allora, ogni tanto cerco di farli sentire orgogliosi di tanti sforzi. L'altro giorno dico a mio figlio: "Dai, parla un po' in italiano con mamma"... E lui, con un sorriso dolce dolce: "Mamma, non mi piace te".

senzabidet


Quando i miei genitori sono venuti a trovarmi a Los Angeles per la prima volta, li ho mandati a stare in un residence molto cool, di fronte al mitico centro commerciale The Grove. Piscina, giardini e giardinieri, spa e palestra, starlette, cagnolini da ricchi e ragazzotti muscolosi. C'era tutto il meglio di quel che si trova a LA. Ero molto orgogliosa di me. Invece, il giorno prima di partire, papa' si e' lamentato. Mi fa: "Laure', questi pero' t'hanno dato una stanza senza bidet. Glielo devi di'!" A parte che papa' e' stato in tutto il mondo e dovrebbe saperlo che gli unici a lavarsi siamo noi italiani, devo dire che il suo sconcerto era, ed e', anche il mio. Milioni di persone vivono, tranquilli, come se niente fosse, senza bidet. Io, dopo anni lontana dall'Italia, confesso che ancora non riesco a farmene una ragione.

Il fatto e' questo. Quando lasciamo la mamma per andarcene in giro per il mondo, noi temerari cervelli in fuga italiani lasciamo a casa tante cose che poi ci mancano: la maglia di lana, i cornetti la mattina, il caffè Lavazza, la pizza bianca, Michele Santoro e Bruno Vespa, i pan di stelle, il motorino. Abbiamo nostalgia di tutto. Ma più di ogni altra cosa, diciamoci la verità, ci manca il bidet. Senza bidet si soffre, si soffre tanto. Tutti i giorni, anche più volte al giorno. E in più, si e' soli nella sofferenza, perché anche gli amici cari, le persone più vicine, non ti capiscono. Non sanno. Non ti seguono. Se gli dici che ti mancano i ravioli, annuiscono con l'occhio umido. Se nomini il Corriere della Sera, qualcosa colgono. Ma se parli di bidet, restano freddi. Indifferenti. Oppure, come quel cuore di pietra di mio marito, invece di lavarsi, ti deridono.

Io comunque, sia detto subito, proprio senza bidet non sono. Certo, non ho quello che avete voi li' a casuccia. Pero' nove anni fa, prima di trasferirmi a Hong Kong dove abitava quel senzabidet americano di mio marito Gabriel, mi sono procurata un bidet da campeggio. Ancora oggi e' il mio inseparabile compagno di vita e di viaggio. Occupa il posto d'onore nel mio bagno. Dove vado io, viene lui. Lo infilo in valigia e via, sono pronta a qualunque avventura.

Va detto che a causa sua, subisco continue umiliazioni. Mio marito lo mostra agli amici mormorando sotto voce, "Ve l'avevo detto...". La mia domestica messicana mi chiede se lo uso per lavare le bambole. Una mia amica lo chiama, ridacchiando, il mio "bijou". Ridete, ridete pure, branco di zozzoni. Io intanto sono pulita.