Friday, August 30, 2013

senzacolombo


Al terzo giorno in quinta elementare, Sara sale in macchina e annuncia: "Mamma, oggi abbiamo studiato Cristoforo Colombo."

Ah, che bellezza, penso io. Il grande italiano che ha scoperto l'America. Almeno glielo dicono, che tutto e' cominciato grazie a noi. Sono soddisfazioni.

"Ah, si', amore? E che cosa hai imparato? Che ha scoperto l'Amer--"

"Si', va be', scoperto. Ma lo sai che era un delinquente?"

"...un deli...?"

"Eh, si', mamma, un delinquente. Lui e i suoi uomini portarono molte malattie sconosciute agli indigeni, che infatti morirono a centinaia."

"Va be', mica sara' stata colpa lor--"

"Ma per piacere. E poi, lo sai che obbligavano gli indigeni a pescare le perle, anche se era pericolosissimo, e gli indigeni morivano, e a loro non importava niente? E poi facevano cose bruttissime alle donne."

"..." Sono ammutolita.

"Mamma, la maestra ha detto che Cristoforo Colombo un tempo era considerato un eroe. Ma adesso si e' scoperto che era cattivissimo e per questo motivo il giorno di Columbus Day non e' nemmeno piu' vacanza. Perche' uno cosi' non merita di essere festeggiato."

Non so piu' che dire. Sono sicura che la settimana prossima le insegneranno che il telefono l'ha inventato Alexander Graham Bell. E Antonio Meucci? Niente, un capomafia del Bronx.

Wednesday, August 28, 2013

senzagusto


Un'amica mi invita a cena e mi chiede di scegliere un ristorante italiano. Io propongo di provarne uno aperto da poco, la cui esistenza mi e' nota unicamente perche' si trova a pochi metri dalla mia palestra (generalmente punto zenith della mia vita sociale). Sembra carino, le dico, e poi sulla vetrina hanno incollato un articolo del Los Angeles Times secondo il quale lo chef, tale Vic Casanova, sarebbe in grado di produrre cibo "italiano fino al midollo." Il locale si chiama Gusto, come quel ristorante fighetto al centro di Roma con i camerieri cafonissimi, dettaglio che mi fa sentire un po' a casa. L'amica accetta e ci accordiamo per vederci li'.

Il posto e' piccolo e accogliente, dall'aria minacciosamente costosa. Io e l'amica ci guardiamo e, con un certo timore, ci accomodiamo al tavolo indicatoci da un maitre super-solerte. Abbiamo a malapena poggiato il sedere sulla sedia, che lui, con un entusiasmo vagamente inquietante, fa: "Allora, ladies, siete mai state qui? Conoscete il ristorante?"

Noi, a mezza voce: "Ehm, no, e' la prima vo..."

Lui, con sorriso maniacale: "Ottimo!!" Perche' ottimo? E se avessimo detto si'? Si stressava e ci cacciava via? E perche' e' cosi' eccitato? "Allora, vi spiego come funziona." Come funziona? Come funziona che cosa? Non si ordina, poi si mangia, poi si paga? "Questo e' un ristorante creato da uno chef. Voglio dire, non c'e' un proprietario e poi uno chef ai suoi ordini. Qua Vic e' il capo e lo chef." Buon per lui. Uno stipendio in meno da pagare. E quindi, che vuoi da noi? "Ora, Vic vuole che abbiate un'esperienza gastronomica come se foste nell'Old Country, cioe', sapete, la madrepatria, l'Italia. Vuole che mangiate proprio come fanno li'." Ecco fatto. Quando la buttano sull'autenticita', finisce sempre a spaghetti e polpette. La mia amica, che e' americana, mi guarda di sottecchi e sorride sorniona. Spera che io dica qualcosa, ma io, come un vero giocatore di poker, non cambio espressione. Non mi tradisco. So benissimo di non apparire affatto italiana e di avere solo un vago accento straniero, per cui se non mi auto-identifico posso operare in incognito. E a questo punto voglio proprio vedere questo dove arriva, perche' nel pomeriggio mi sono anche informata e ho scoperto che Mister Casanova e' nato nel Bronx, ha fatto il cuoco a New York, e fino a un anno fa gestiva un ristorante "californiano-italiano" al Four Seasons di Beverly Hills, chiamato (giuro) Culina (lo so, lo so, e' latino, pero' andiamo!).

Il maitre continua il suo discorsetto, porgendoci due menu': "Nell'Old Country il pasto e' composto di varie portate. Quindi l'ideale sarebbe di ordinare una portata da ciascun settore del menu'. Vic consiglia caldamente di fare cosi'." L'uomo si allontana e noi, inebetite, abbassiamo gli occhi sulla carta. "Per prendere un piatto da ogni settore -- dice la mia amica -- dovremmo accendere un mutuo. E poi cos'e' 'sta storia delle portate? Davvero in Italia fate sempre cosi'?" Sto per rispondere che in effetti e' vero, tendiamo sul serio ad avere primo, secondo, contorno, frutta e dolce, quando noto che il menu' e' si', diviso in settori, pero' qualcosa non quadra: ci sono i Piccoli Piatti, poi ci sono Primi e infine ci sono i Piatti. I Piatti?! E i secondi? Li hanno lasciati nell'Old Country?

Quando poi scopro gli errori di ortografia, non mi tengo piu'. "Ma insomma!" esclamo. "Ma un vocabolario di italiano lo venderanno pure, a Los Angeles?!" Si', perche' tra gli antipasti figurano i "ficchi" (figs), mentre uno degli speciali del giorno pare sia condito con "beciamella." Tra i primi troviamo poi gli "Spaghetti Genovese" e i "Ricotta Gnocchi." Italiano fino al midollo, eh? Almeno evitare tutta questa solfa dell'Old Country, dico io, che uno poi ti perdona gli errori. Senno' sai il mal di fegato ogni volta che vai a mangiare fuori, con i vari dining alfresco (cenare all'aperto), piatti di arugula (rucola) e tazzine di caffe' expresso. La mia amica, eccitatissima, risponde subito: "Devi dirglielo, devi dirglielo! Non puoi fargliela passare liscia! Se la tirano troppo! Ti prego! Se non parli tu, parlo io." Io di solito sono troppo timida, ma adesso, con l'amica sul piede di guerra, non posso tirarmi indietro.

Cosi', quando il maitre torna, ordiniamo (tra gli antipasti c'e' la pizza margherita e io, senza vergogna, la chiedo), poi dico: "Scusi se mi permetto, eh, ma ci sarebbero un paio di errori sulla carta." Gelo. Occhio vitreo. Ghigno. "Ah, si'? E quali?" "Soprattutto 'ficchi,' sa, lo cambierei. Ci va una 'ci' sola."

L'uomo mi fissa, mormora rigido, senza sorriso, "Certo, certo, lo dico subito a Vic," e si allontana svelto. E' chiaro che mi ha preso per una pazza mitomane e che a Vic non dira' un bel niente. La mia amica e' indignata. Vuole intervenire. "Non ci ha creduto! Ti ha snobbato! Ora vado a dirgli che sei di Roma!"

Un po' vorrei che lo facesse, ma la vergogna e' troppa e -- a fatica -- la tengo a bada. Pero' poi, come i cornuti, ci ripenso e quindi ecco, oggi, la mia vigliacca vendettina a freddo.


Saturday, August 24, 2013

senzacultura


Seduta nel salottino degli psicologi in training, leggo tranquilla. A un tratto, si siede accanto a me una collega, avvicina la testa alla mia e mi apostrofa a mezza voce e con fare cospiratorio: "Scusa, posso chiederti una cosa?"

Alzo gli occhi, un po' sorpresa per il tono misterioso. "Certo, dimmi."

"Mi sto chiedendo... in Italia, culturalmente dico, e' normale per un uomo seguire e perseguitare la sua donna? Minacciarla di morte, piazzarsi sotto casa sua, eccetera? Sai, una mia paziente e' fidanzata con un italiano, e sto pensando che forse lei non si rende conto che e' soprattutto una questione culturale..."

Alzo la mano per bloccarla. Ecco fatto, penso. Ci siamo. Nell'America politicamente iper-corretta in cui bazzico io, quando un non-WASP (bianco anglosassone protestante) fa qualcosa di assurdo, subito si cerca la giustificazione "culturale." In questo caso, presumo, la questione di cultura si potrebbe riassumere con italiano = yeti. A dimostrazione che a volte la correttezza politica chiude il cerchio e diventa insulto allo stato puro.

Guardo la collega e decido di optare per la vendetta malvagia.

"Eh si', hai proprio colto nel segno. E' esattamente cosi'," rispondo senza battere ciglio. "Da noi, per legge, i mariti devono picchiare le mogli. C'e' scritto nella Costituzione."

Lei sgrana gli occhi. "Pensa te. Allora avevo ragione," aggiunge con una luce di trionfo negli occhi, "e' proprio una cosa culturale..."

"Eh, si', non e' colpa sua, povero ragazzo. In Italia l'uomo, per essere considerato virile, dev'essere violento e infedele. Da noi e' in vigore la poligamia, sai?"

La collega sorride ancora, ma la vedo vacillare. "...Si', eh...?"

Riabbasso gli occhi, e guardando il mio libro, continuo: "Io sono fuggita da Roma vent'anni fa, perche' mio padre mi aveva venduto per dieci cammelli al vicino di casa. Aveva altre sei mogli, sai, ma a casa sua c'erano l'acqua corrente e l'elettricita'. Da noi ci lavavamo una volta al mese. Anche quella e' una cosa culturale. La puzza, dico."

Noto che la collega comincia a capire l'andazzo. "Ah. Stai scherzando," commenta delusa.

Rialzo la testa e la guardo in faccia. "Di' alla tua paziente di chiamare la polizia. In Italia, se uno ci minaccia di morte, tendiamo a fare cosi'. Culturalmente." E mi rimetto a leggere.

La collega si allontana mogia, mogia e pure un po' offesa. Un altro sogno infranto.