Monday, February 27, 2012

senzaoscar

Ora, non per parlare per forza degli Oscar, non per fare la fanatica, ma il fatto e' che abito a pochi isolati dall'epicentro e allora non resisto e ve lo dico: l'attrazione di questa settimana al negozio di animali del mio quartiere e' il cane Uggie. Quello di The Artist. Academy Bau.

Friday, February 24, 2012

senzafratelliditalia


Porto Ale all'Urgent Care (una via di mezzo tra il medico generico e il pronto soccorso) per un controllo dei punti. Ale e' in preda a una crisi di pianto. Non e' giusto che lui deve andare dal medico mentre la sorella e' andata a giocare con un'amichetta, infliggendogli una doppia offesa, cioè divertendosi senza di lui e lasciandolo solo con me (da notare che quando sono insieme senza di me che faccio da arbitro stile Rocky i miei figli passano la maggior parte del tempo a tentare di sgozzarsi l'un l'altro).

Io pazientemente fermo l'auto, scendo, trovo moneta, la infilo nel parchimetro e mi accorgo che tra un quarto d'ora, inizio della temutissima rush hour, l'intera via diventerà zona rimozione. Con una certa disperazione nella voce, dato che mio figlio si e' appena calmato e sta rassegnatamente scendendo dalla macchina, dico in italiano: "Alino, rimettiti seduto. Qua non si può parcheggiare." Al che, un signore di passaggio si gira di scatto e con un po' di emozione dice, anche lui in italiano: "Si', attenta, che qui alle quattro portano via tutte le macchine." Come avrebbe detto Mario Brega, me s'e' aperto er core. "Grazie," rispondo con un sorrisone. Lui torna indietro e, con fare da principe azzurro, mi fa: "Signora, guardi: metta la macchina qua, nel parcheggio del ristorante. Sono il manager." Ah, be'. Troppo fico. Vedi com'e', faccio ad Ale: sei italiano, e ti si aprono tutte le porte. Tutta contenta, tendo la mano: "Sono Laura." "Piacere, sono Massimo." Ci guardiamo negli occhi e siamo già fratelli.

Cosi', mentre infilo la macchina nel vietatissimo parcheggio del locale, mi sento una Very Important Italian e penso: certo che io e Massimo, che in Italia probabilmente non ci saremmo filati nemmeno di striscio, qui a Los Angeles siamo pappa e ciccia. Bros. Anzi, diciamola tutta: paisa'.

Wednesday, February 22, 2012

senzafiorino


Fare la spesa in America e' un po' come essere Troisi e Benigni alla dogana in "Non ci resta che piangere." Arrivi all'uscita del supermercato e il cassiere ti fa: "Hai trovato tutto quello che cercavi?" ("Alt! Chi siete?") Tu ovviamente non hai trovato una mazza di quello che cercavi, ma memore di quella volta che hai risposto sinceramente e il cassiere e' andato in tilt perché non si aspettava una risposta umana, fai come un automa: "Yes." Lui continua, con l'occhio fisso: "Hai-con-te-la-carta-del-supermercato?" ("Cosa portate?"). Tu, di nuovo, senza discutere: "Yes," e gliela porgi. Lui, ovviamente senza alzare gli occhi, fa scorrere la merce sul lettore per codici a barre velocemente, a distanze di tempo precise tra un oggetto e l'altro, e poi chiede con voce metallica: "Cash-or-credit?"("Si', ma quanti siete?") Tu gli dai la carta di credito, sempre senza fare obiezioni. Lui conclude, premendosi il bottone luminoso per il reset al centro del petto: "Have-a-nice-day," e con te ha chiuso. Un fiorino.

Sunday, February 19, 2012

senzadisney


Il Disney Channel, fatemelo dire, e' la casa del demonio. Con i suoi telefilm destinati ai 'tween' (pre-adolescenti, praticamente tutti i bambini al di sopra dei quattro anni), e' il luogo in cui si creano schiere di ragazzini americani maligni, quelli che già alle elementari si radunano in gruppetti di piccoli mostri invidiosi e pettegoli, decidono chi e' cool e chi non lo e', prendono in giro i più deboli e -- qua entro in ballo egoisticamente io -- rispondono male ai genitori. Ora, in teoria io sono democratica, in pratica vengo da Roma e so' tu' madre e me devi rispetta'.

Quindi il fatto e' questo: da qualche mese mia figlia, nemmeno nove anni, mi parla come se ne avesse 16 ed e' dunque in piena rivoluzione adolescenziale. Vi assicuro che se la teenager italiana e' irritante, quella americana e' da sbattere al muro. La scena classica a casa mia e' cosi': lei e' chiusa in camera che legge, io chiamo per la cena, lei fa finta di non sentirmi e continua a leggere, io richiamo, lei fa con voce scontrosa, "Whatever," io, già sentendo la vampata che sale al cervello, avverto, "Sara non cominciare," lei sbattendo gli occhi e dondolando la testa in orizzontale come Rihanna risponde, "What?", io dico, "Sai benissimo che cosa intendo, non parlarmi cosi'" lei aprendo e chiudendo gli occhi come se stessero per uscirle le lenti a contatto ripete come un pappagallo, "What? I don't know what you're talking about," io, sempre più alterata ripeto, "Sara, ti avverto, SMETTILA!," lei, sempre con la faccia da Gossip Girl in erba e la voce da schiaffi di Selena Gomez, non cede di un millimetro e continua la litania, "Whaaat? I don't know what you're talking about. Whaaat?"(Che cooosa? Non so di che cosa stai parlando. Che cooosa?). Poi si gira e mi sbatte la porta in faccia. Dio mio, dammi la pazienza.

Una mia amica mi fa: devi vietarle il Disney Channel. Io la' per la' l'ho presa in giro, anche perche' il marito lavora in TV, e le ho detto, "Ma dai, la televisione non ha mica questo potere!" Lei ha alzato un sopracciglio e io mi sono data una manata sulla fronte. Ma come, Laure'? Proprio tu, cittadina di Telecrazia, che sei stata li' li', che quando B. ha giurato sulla testa dei cinque figli per un momento ci hai pure creduto, che hai visto e sentito cose tra giornalisti che voi umani non potete nemmeno immaginare, proprio tu te ne esci così'? Con questo pensiero in testa, mi sono decisa. Ho annunciato ai miei figli che basta, il Disney Channel non si guarda più, a parte "Phineas e Ferb" perché piace a me, e ho proseguito: "Adesso vi faccio vedere io un programma in cui i bambini sono educati e i genitori persone perbene. E' un programma bellissimo. Lo facevano quando ero piccola io." Ovviamente, i miei figli, aspettandosi un documentario in bianco e nero sulla vita in Italia negli anni Settanta, si sono scaraventati per terra con la bava alla bocca, urlando, "Che schifooo! Le cose di quando eri piccola tu sono orrende! Vogliamo 'Good Luck, Charlie! Vogliamo 'So Random!' Vogliamo 'Fish Hooooks!''" Ma io, inamovibile, ho infilato il mio vecchio DVD nel lettore e ho fatto partire una puntata dei "Robinson." Si', quei Robinson, con Bill Cosby. Anno 1987. Roba stre-pi-to-sa.

Ora, i miei figli stanno alla TV come i cani di Pavlov stanno alle campanelle, quindi non appena si e' acceso lo schermo loro si sono immediatamente zittiti e bloccati, e come due piccoli robot hanno voltato le testine verso la luce blu e fissato con occhi sbarrati il video. Loro malgrado, hanno guardato. All'inizio sono rimasti seri, seri, con le facce inespressive. Poi, con occhiate in tralice verso di me, hanno cominciato a osare qualche sorrisetto, nascosto sotto i baffi per non darmi soddisfazione. Infine, si sono dimenticati di dovermi odiare e si sono lasciati andare a risatone forti, esplosive, di pancia.

Risultato: alla fine del DVD, Sara mi fa: "Mommy, this is my favorite show." (Mamma, questo e' il mio programma preferito).

Oh, yeah. Cosby batte il malvagio Walt uno a zero. Tie'.

senzasapone/2


Sai di essere una madre italiana quando, al pronto soccorso con tuo figlio che deve mettere quattro punti alla gamba dopo aver avuto un incontro al vertice con un tavolo di vetro (ovviamente avvenuto mentre tu eri in palestra per un'ora di pace), il tuo pensiero dominante e': ma guarda 'sto bambino che unghie dei piedi lunghe e luride che ha. Mamma mia, che figura. Che penserà il dottore?

Tuesday, February 14, 2012

senzasanremo


Quando qualcuno mi chiede che cosa mi manca dell'Italia, io mi vergogno un po' a rispondere ma la verità e' che una delle cose che mi mancano di più e' il Festival di Sanremo. Ecco, l'ho detto. Di solito lo tengo per me, non soltanto perché e' imbarazzante ammetterlo, ma anche perché le persone che compongono la mia vita qui a Los Angeles, che sono tutta la mia vita qui, non possono capire. Anzi, se devo essere completamente sincera, non devono capire.

Per me le canzoncine insulse con interpreti svociati che si susseguono di anno in anno sul palchetto dell'Ariston sono come gli Horcrux di Voldemort: tutti pezzetti della mia anima, nascosti qua e la', ai quali attingo quando i vari Harry Potter della mia vita americana tentano di annichilirmi. E' chiaro che se cerco di dire a mio marito Gabriel, il quale con il sopracciglio alzato ascolta soltanto Thelonious Monk e Miles Davis, che per me la Pausini e Zucchero sono come pezzetti di anima, mi porta dritta al manicomio.

Il fatto e' che dovrei spiegargli che quando sono in macchina sulle curve del Laurel Canyon, e alla radio mi sparo a palla "Gli altri siamo noi," la luce che mi acceca a ogni curva non e' più il sole californiano di un pomeriggio di fine febbraio, ma la luminosità di una fresca mattina di giugno, e io non sono più nella San Fernando Valley, ma alla guida della mia Pandina bianca sulla strada per Fregene, dove incontrerò la mia amica Marzia, che tra due giorni si sposa e vuole arrivare all'altare abbronzata.

E dovrei dirgli che se la sera ascolto Alex Britti mentre torno dall'università sulla Freeway 405, mi sembra di sfrecciare sulla Panoramica di Monte Mario verso casa di Roberta, la mia amica del cuore che ha deciso di insegnarmi a cucinare dopo il lavoro, "senno' non troverai mai marito."

Se mi sento triste, carico sul mio iPhone Raf che canta "Sei la più bella del mondo," e l'ascolto a occhi chiusi mentre prendo un frozen yogurt, così mi ritrovo a mangiare un Cornetto Algida in costume su una spiaggia della Sardegna. E con l'aiuto di quella strillona stonata di Anna Oxa, quando voglio vengo teletrasportata al 1997, in quella settimana di maggio subito dopo l'operazione laser per la miopia, e sono in sella al mio motorino in minigonna inguinale, senza casco ma con un paio di occhialoni da motociclista per proteggere gli occhi, e rido a crepapelle quando sento che un boro si sporge dalla macchina e mi urla, "Aho, te mancano le pinne!"

Inutile quindi tentare di spiegare che anche adesso, nel 2012, voglio sapere nel dettaglio che cosa ha detto quello scombinato di Celentano all'Ariston, che ne hanno scritto i giornali, che cosa ne pensano i miei amici in Italia, e soprattutto che vestito indossava Belen (anche se non mi e' chiaro chi sia, esattamente). E perché Dalla e' già stato eliminato? E Gianni Morandi quanti anni ha, a questo punto, diecimila?

Non ci provo nemmeno a parlarne in casa mia, e la verità e' che non voglio. Gli Horcrux di Sanremo appartengono alla Laura di quando Gabriel non c'era, la Laura che i miei figli, i professori americani, i miei pazienti, non conoscono e non conosceranno mai. E' una ragazza con la testa piena di dubbi, che si chiede se troverà l'uomo giusto e si sposerà, e intanto scrive, fa interviste con i potenti in Parlamento e sogna di diventare, un giorno, direttore del Corriere della Sera. E' giovane, e' carina ma non lo sa, porta minigonne troppo corte e si arrabbia quando la chiamano "signorina" perché lei e' laureata e vuole essere chiamata "dottoressa." Si innamora sempre dei ragazzi sbagliati, abita a Roma, racconta barzellette volgari, non ha mai fame e si fa la lampada e i colpi di sole. E' una ragazza con tanti difetti, e forse non somiglia troppo alla dignitosa signora bionda di mezza eta' un po' americana che sta scrivendo questo post. Ma e' li' dentro, sotto i vestiti castigati e i chiletti in più, e sa che senza di lei la moglie e mamma di oggi non esisterebbero nemmeno. Mi manca spesso, quella Laura, soprattutto qui a Los Angeles, perché, perché... be'...lo dico? Ecco: perché e' una ragazza italiana.

Thursday, February 9, 2012

senzapistola


Sai di vivere negli Stati Uniti quando sulla home page della tua università c'e' un lungo e dettagliato video che ti spiega come devi comportarti nel caso che un pazzo arrivi sul campus e cominci a sparare all'impazzata. Giuro. Sulla home page, in cima alle notizie importanti. Si intitola "Spari sul campus" e a prima vista sembra il trailer di una nuova serie TV. Invece e' un "program," un addestramento mirato per studenti, nel caso che anche qui succeda quello che e' successo altrove, più volte. Il video fa così paura che adesso non voglio nemmeno uscire in giardino, nel caso il mio vicino, quel signore sovrappeso con il border collie, fosse un cecchino di cattivo umore. Perché gli insospettabili, ve lo dico subito, sono i più pericolosi. Non cadete nel tranello delle apparenze: a volte, il vostro istinto, quel "sapere senza sapere," può salvarvi la vita. Lo spiegano, senza mezzi termini, i due security experts che fanno da voci narranti al film.

I due cominciano facendo finta di volerti tranquillizzare. "Hai le stesse probabilità di imbatterti in un pistolero che di essere colpito da un fulmine," ti assicurano. "Non vogliamo farti diventare paranoico." Poi pero' proseguono, senza pietà: il segreto di chi si salva in queste situazioni e' la preparazione. Chi non fa attenzione e' il primo a morire. Per esempio: quando entrate in un'aula, di solito cercate subito le possibili vie di fuga? No? Male. E' fondamentale. Fatevi un piano mentale: se il pazzo arriva, dove scapperete? Oppure, dove vi nasconderete? Cosa farete? Sempre, in ogni momento, dovete avere il "survival mindset," l'atteggiamento di sopravvivenza, che significa porsi continuamente la domanda, "What if?" ("E se...?") Per una che si dimentica regolarmente la merenda impacchettata sul tavolo della cucina, capirete che l'idea di mettere a punto un piano di fuga in caso di attacco paramilitare durante la lezione di farmacologia può risultare leggermente ansiogena.

Ma non basta: per "massimizzare le vostre chance di sopravvivenza," dicono, sic, i due esperti, dovete anche avere un piano di contrattacco. Le parole chiave sono "get out, hide out, take out." Come dire: o scappi, o ti nascondi, o lo fai secco. Io? Mo' IO devo fare secco il pazzo assassino con un M-16 sottobraccio? E che faccio, gli tiro il quaderno in faccia? Lo sfregio con la biro?? Gli spacco l'iPad in testa???

Spiritosa. E' ESATTAMENTE QUELLO CHE DEVI FARE, dicono gli esperti. "Devi diventare aggressivo, più aggressivo di quanto tu non sia mai stato," avvertono, con voce alla Clint Eastwood. "Tiragli lo zainetto, tiragli un libro, attaccalo." A questo punto, il video mostra un gruppo di studenti che, come i ribelli della primavera araba, decidono di non vivere più nella paura. Improvvisamente escono da dietro i banchi e neutralizzano il pazzo lanciandogli quaderni, penne e oggetti vari e poi saltandogli addosso in gruppo. Spiega uno dei due narratori: "Ricordatevi: il modello adesso e' quello dell'attacco terroristico. Prima dell'11 settembre, si pensava che la cosa migliore in caso di dirottamento fosse restare calmi e aspettare l'atterraggio. Adesso le cose sono cambiate. I passeggeri del volo United lo capirono. Dovete agire come loro." Ma sono morti tutti! Zitta e ascolta. Ecco cosa si fa: "Spread out. Make a plan. Act as a team. Total commitment to your action." "Sparpagliatevi. Fate un piano. Agite in squadra. E non abbandonate l'azione a nessun costo."

Aho, io pensavo di prendere un master in psicologia, non di entrare nelle Navy Seals. Alla fine del video sono terrorizzata. Spengo il computer col cuore in gola, mi faccio il segno della croce, vado in cucina e dico a Gabriel: per San Valentino, amore, niente fiori, voglio un regalo utile. Un giubbotto antiproiettile.



Tuesday, February 7, 2012

senzamacchina


Fantascienza. E' sera, sono in macchina di ritorno dall'università. In lontananza, vedo che il semaforo all'incrocio tra Venice e Fairfax lampeggia. E' rotto. E c'e' molto traffico. Ora, questo e' un incrocio gigantesco, al livello dello snodo di Piazza Ungheria a Roma. Mi si gela il sangue, poi capisco che il mio destino e' segnato, mi faccio il segno della croce e mi preparo all'inevitabile ingorgo fantozziano con clacson selvaggio.

Ho l'improvvisa visione dei megaingorghi che ho subito per anni a Roma, quando ero ragazza e abitavo in piazza Pio XI, vero triangolo delle bermuda per gli automobilisti della capitale, motto ufficiale: se lo conosci lo eviti. Due o tre pomeriggi alla settimana, la piazza esplodeva in un abominevole coro di clacson, della durata di ore, durante le quali qualunque attività umana per gli abitanti del quartiere diventava impossibile. Come in quei flash che hanno i moribondi, improvvisamente ricordo la volta in cui ripassavo disperata per l'esame di glottologia e, presa da un impeto d'ira, mi infilai i jeans e scesi in strada con il preciso intento di litigare con qualcuno di questi deficienti che suonavano il clacson impedendomi di studiare. Mi piazzai davanti a una cabina telefonica e osservai per qualche minuto il mare di lamiera abitato da selvaggi con l'occhio vitreo che strombazzavano senza speranza. Tutti fermi, tutti con il pugno chiuso sul clacson, tutti con lo sguardo perso nel vuoto. Li odiai tutti. Allora adocchiai un tale dall'aria particolarmente irritante, e non appena lo vidi appoggiarsi al clacson lo apostrofai educatamente: "MA CHE C*&^ TE SONI??? Ma non lo vedi che ci sono sei milioni di macchine davanti a te, che cosa credi che possano fare se suoni in continuazione, DECOLLAREEEEE???" Quello rimase interdetto per un attimo e poi, con classico aplomb romano, rispose: "Ma a te che te frega, scusa?" "IO ABITO QUI!!!" Momento di silenzio, poi: "E allora cambia casa." Pepperepeeeeeee!!!

Ora, qua non esiste nemmeno la possibilità di litigare in situazioni del genere, perché se con il romano rischi qualche parolaccia, l'americano tira direttamente fuori il mitra legalmente acquistato e ti falcia in 15 secondi. Quindi, avvicinandomi all'incrocio da sei corsie tra Venice e Fairfax, respiro profondamente e mi preparo all'inevitabile. Tiro fuori una barretta di cereali, sistemo la bottiglietta d'acqua minerale accanto al sedile, sintonizzo la radio. Poi mi infilo l'auricolare del telefonino e compongo il numero di casa per avvisare di non aspettarmi per cena. Ma a un tratto mi accorgo che intorno a me c'e' il silenzio più completo. Nessun clacson, nessun urlo. E nessun ammasso di lamiera. No: come in un film muto al rallentatore, le auto procedono lentamente, ma non si fermano più di un paio di secondi alla volta. La scena e' surreale. Arrivo all'incrocio e penso di essere arrivata su un altro pianeta. Le prime tre auto in fila nelle corsie di Fairfax si fermano, LASCIANO PASSARE LE PRIME TRE AUTO DELLA CORSIA DI VENICE, poi ordinatamente passano loro. E così via. Non c'e' un vigile, niente. Tutto autogestito. Quando arriva il mio turno vorrei mandare baci agli automobilisti della strada opposta. Mi sale una risatina isterica in gola. Mi chiedo se sono su scherzi a parte. In meno di due minuti sono fuori dall'incrocio e in cinque, gasp, a casa.

La cena e' ancora sul fuoco. Mentre mi siedo a tavola, ripenso con malinconia al boro che vent'anni fa mi ha detto di cambiare casa. E mi viene un po' da piangere perché mi dispiace, mi dispiace proprio, dargli un pezzettino di ragione.

Sunday, February 5, 2012

senzaparole


Ieri sera, nel bagno delle donne di un locale notturno, mi sono trovata faccia a faccia con la versione hollywoodiana delle coatte der Calippo. Si tratta di un'agghiacciante categoria di giovani donne, generalmente carine, middle-class, quasi sempre bianche e quasi sempre superficiali, che parlano così male, ma così male, che al confronto la giornalista presa a schiaffi in Palombella Rossa pareva Alessandro Manzoni. Perlomeno quella si esprimeva con una serie di luoghi comuni e frasi fatte. Queste sembrano aver perso il contatto con la civiltà: si esprimono con una serie di parole sconnesse, praticamente suoni onomatopeici, tenuti insieme da un intercalare così eccessivo, così presente, così ripetitivo da essere diventato il vero protagonista del discorso. E' un modo di parlare surreale, una specie di versione Dada dell'inglese.

Sono la nuova versione delle Valley Girl degli anni Ottanta e delle cattive ragazze di "Beverly Hills 90210." Sono un misto tra la Katiuscia di Zelig ("Chi e' Tatiana? CHI E' TATIANAAA?? Tatiana e' l'amica mia cosi' grassa, ma cosi' grassa che fai prima a zompaje sopra che a giraje intorno!"), il paninaro di Drive In e il fricchettone di "Un sacco bello."

Al posto di "cioè," queste usano continuamente la parola "like," che potremmo tradurre con "tipo." Tipo: "Vorrei vedere un film." "Tipo, che film?" Solo che loro usano "like" ogni tre parole. Letteralmente. A proposito: letteralmente, cioè "literally," e' la seconda parola del loro limitatissimo lessico, e la usano, letteralmente, like, spesso a sproposito, e, like, letteralmente in continuazione, like, letteralmente come sto facendo, like, letteralmente, io adesso. Terza parola in classifica: "so", traducibile con "così", detta con grande enfasi e con voce in tono calante, "sooooooh". Quarta e ultima parola, perché poi il vocabolario si esaurisce, "totally", totalmente. Tutto e' totalmente, tipo, letteralmente, tipo, cosiiiii' fico! Fondamentale infine e' l'intonazione: ogni frase deve sembrare una domanda? Anche se non lo e'? Anzi, specialmente se non lo e'? Da ammazzarle, o no?

Cosi' ieri sera mi sono ritrovata in bagno con queste tre ragazzine, giovani, carine e antipaticissime. Senza guardarsi in faccia perché avevano tutte l'iPhone, chiacchieravano tra di loro di fatti recenti. Ho ascoltato in silenzio mentre aspettavo il mio turno, guardando per terra, battendo i piedi nervosamente, sudando, sentendomi prudere le mani come Moretti. Dieci minuti di parole e non sono arrivate mai al dunque. "Sei andata poi, like, a quel, like, ristorante?" ha detto una, ticchettando con le unghie finte sul touch-screen. "Yes," ha risposto la seconda, messaggiando con la sinistra mentre con la destra aggiungeva una mano di mascara a ciglia già ridotte a zampe di ragno stecchito, "it was, like...? literally, like, you know, like, sooooo nice?" Eh? Ma sta facendo una domanda? C'e' stata, o no, a sto cavolo di ristorante? La terza, ridacchiando come se qualcuno avesse fatto una battuta: "Yes, like, you know, I mean, literally, like, so cool?" Ripresa della seconda: "C'era, tipo, un vialetto, tipo, veramente grande, tipo, veramente veramente grande, con, tipo, brecciolino?" "Wow. Like, literally?" "Wow, so, like...?" "Yeah, like, sooooo cool."

Quando stavo quasi per esplodere, quando ho capito che mi stavo gonfiando come Lou Ferrigno e stavano per strapparmisi i vestiti e mi sarei trasformata in un mostruoso Nanni Moretti alto sei metri in cuffia blu da pallavolo e i denti da vampiro, e mi sono vista dopo la metamorfosi che ne afferravo una per la collottola per sbatterla contro il muro e urlarle in faccia: "Ma come parli? Ma come parli????? Le parole sono importanti!!", per fortuna e' squillato il mio, di cellulare.

Era mio marito. Gli ho detto, meno male che hai chiamato. Mi hai appena salvato dalla galera. Lui, silenzio. Poi: "Ma sei ubriaca?"

"Literally. So. Like. Totally." E ho chiuso.

Wednesday, February 1, 2012

senzasapone


Il bambino ricco e zozzo e anche un tantino maleducatello e' una tipologia infantile precisa, molto diffusa nella zona di Hollywood. Si tratta di bambini che in genere abitano in ville con piscina, frequentano le scuole private e d'estate vanno in vacanza in Polinesia. Potrebbero tranquillamente permettersi vestiti firmati o almeno un paio di infradito, invece di solito vanno in giro vestiti di stracci, preferibilmente senza scarpe in pieno inverno e spettinati come Medusa dopo una notte insonne. De rigueur e' anche lo sbaffo di cioccolata sulla guancia di primo mattino, indice che dalla sera prima non si sono nemmeno lavati. E ci mancherebbe.

Quand'ero piccola io, mia madre sarebbe emigrata in Antartide piuttosto che farmi uscire senza maglioncino abbottonato fino al collo e le mollettine nei capelli. Le mamme hollywoodiane invece incoraggiano i figli a rimanere sporchi e perfino a ingaggiare in comportamenti animaleschi. Un giorno ero a casa di un'amichetta di mia figlia e, mentre chiacchieravamo sul divano la madre di questa bambina si interrompe a meta' frase e mi fa, tranquillissima: "Toh, guarda, mia figlia sta facendo la pipi' in giardino." In giardino?! La pipi'?? "Si'" continua lei allegrissima. "Pensa che la sorella qualche volta fa anche la cacca."

L'anno scorso sono anche stata a un playdate di gruppo della classe di mio figlio in cui tutti i bambini, maschi e femmine, si sono tolti i vestiti e hanno giocato nudi in giardino per un intero pomeriggio. (Mio figlio, che ha sangue italiano, si e' categoricamente rifiutato di togliersi perfino la maglietta. Mia figlia mi ha detto, "Mamma, non credi sia il caso di andare a casa?"). Tenete conto che siamo nella stessa città che vieta alle bambine di accedere alle piscine pubbliche senza pezzo di sopra del bikini. Ma quelle sono piscine pubbliche, ergo per plebei.

Non mi e' chiarissima la filosofia di questi genitori, oltre al fatto che sono un branco di senzabidet dai quali c'e' da aspettarsi di tutto, ma certo c'e' un elemento pseudo-politico nelle loro scelte. Molti di loro lavorano nel mondo dello spettacolo e hanno tanti tanti soldi, pero' sono anche liberal, almeno nell'animo. A differenza di Mitt, che oltre ai soldi ha anche l'aria del riccone, questi vogliono forse mimetizzarsi da poveracci con un tocco di ecologismo. Sono quelli che comprano i pannolini senza cloro per non inquinare, poi girano in SUV stile carrarmato. E' il radical chic all'inverso. Mi ha un po' spiegato la filosofia una madre la cui casa sembra perennemente colpita dai bombardamenti atomici: "Io ai miei figli insegno a non fare ordine, perché non voglio che imparino che le cose, gli oggetti sono importanti. Voglio -- ha aggiunto, inciampando su un trenino e fratturandosi tre costole nella caduta -- che pensino alla vita interiore".

Questi sono bambini che, quando vengono a casa tua per giocare con i tuoi figli, ti chiamano per nome e ti informano perentori: "Ho fame". Embe'?? Tira la coda al cane, vorrei dire io, vedrai che se non te mena prima, ti da' pane e salame. Se poi non rispondi subito, questi ragazzini si spazientiscono, sbuffano con l'aria di dire ai tuoi figli "ma tua madre e' scema o cosa?", poi vanno in cucina e aprono direttamente il frigo. Arraffano uno yogurt, lasciano lo sportello aperto, poi passano alla credenza, prendono una megabusta di patatine e senza degnarti di uno sguardo, si dirigono verso la stanza dei tuoi bambini masticando rumorosamente e facendo briciole ovunque (Li' e' quando io generalmente li placco come Serpico, gli piego un braccio dietro la schiena e, puntandogli una banana alla tempia urlando che hanno il diritto di non rispondere, gli faccio restituire il maltolto).

Ora capirete, visto l'ambiente, quanto possa essere popolare tra i miei famigliari io che sbraito dalla mattina alla sera DOVETE METTERE IN ORDINE QUESTA CASA E' UN PORCILE POI NON VI LAMENTATE QUANDO NON TROVATE NIENTE. Cavoli loro. Non mi interessa. Anche perché poi, dai e dai, come per il bidet che adesso mia figlia mi chiede di usare, sto vincendo io anche su questo fronte. Giorni fa Sara, tornando dalla casa dell'amichetta defecante, mi fa: "Mamma, quella casa e' sporca e disordinata. Mi fa schifo."

Bella di mamma. Tu si' che mi dai soddisfazioni.